Lettera aperta a Matteo Renzi, segretario del Partito Democratico

Caro Matteo,

Chi ti scrive è un cittadino italiano, di 73 anni, docente in pensione, iscritto al PCI fin dal 1966. Ho votato per te già nel 2012, dal tuo primo confronto con Bersani. Ho creduto nel tuo progetto, ho condiviso la tua visione dell’Italia, ho criticato certe tue arroganze troppo disinvolte, ho commentato negativamente con gli amici la tua sottovalutazione nel riunire intorno a te le migliori energie intellettuali del Paese, anche e soprattutto quelle non cortigiane, ho condannato l’eccessiva tua inclinazione a privilegiare approcci familisti e amicali, ho riflettuto sul tuo non aver creato nel partito uno spazio adeguato per l’elaborazione e la progettualità, per un vero confronto politico che scoraggiasse le correnti di potere (qualcuno dice “bande organizzate”) e favorisse, invece, le correnti di pensiero. Dopo la sconfitta del 4 dicembre scorso ho atteso la tua analisi e ho ascoltato quello che hai detto all’Assemblea Nazionale del PD: molte cose da condividere, alcune inspiegabili assenze (il tema della scuola e i suoi paradossi, la rivoluzione tecnologica e le sue implicazioni sul lavoro in Occidente -complicate da alcuni aspetti della globalizzazione-, l’immigrazione-emergenza nazionale primaria). Nell’analisi dello scontento degli italiani (l’arcipelago del rancore e della punizione nei tuoi confronti) non ti sei soffermato sulla grande festa dei diritti acquisiti, dei privilegi diffusi, della spesa pubblica scriteriata, del dorso corazzato di burocrazie, conventicole, potentati e corporazioni, così forte e resistente nel nostro Paese. Chi è davvero responsabile?

Ma non è di questo che ti voglio parlare, quanto –invece- dello strumento Partito, del PD. Nella tua fase Zen hai creduto opportuno non affrontare con fermezza il problema di come si sta in un partito, delle regole che disciplinano i comportamenti degli iscritti, della coerenza degli atti, del rispetto delle decisioni degli organi dirigenti, del sabotaggio deliberato dell’azione del partito all’interno e all’esterno. La minoranza non ha mai riconosciuto la tua leadership anche se avevi vinto le primarie del 2013 con quasi il 70% dei voti (e forse proprio per questo), ha giudicato aliena la tua visione della politica, è andata avanti per tre anni con continue prove di forza, ricatti e minacce di scissione, e si è strutturata come un partito nel partito. Te l’ha ricordato, in modo troppo brusco ma veritiero, solo Giachetti. Sono dubbioso. Forse avrai avuto ragione, in questa fase di confusa transizione, nel decidere di continuare a guidare il PD ma forse hai commesso un errore strategico. Sicuramente io sbaglierò. Seguo le attuali vicende politiche con lo sconcerto e le incertezze di un vecchio osservatore, silenzioso e poco invadente, che negli anni è stato abituato a esplorare utopie, idee, speranze, timori e che spesso ha sbagliato.

Il campo in cui si giocheranno le prossime partite non è quello confacente al PD a vocazione maggioritaria. Il vecchio mondo non c’è più. Prendi consapevolezza che una stagione è finita. E’ finito quel sistema capace di fornire stabilità di governo e chiarezza rispetto alle scelte dei cittadini. Nei prossimi anni l’invariante strutturale sarà: bicameralismo paritario, ruolo confuso delle regioni, legge elettorale proporzionalista. Il Mattarellum non avrà successo. Lo saboteranno. Si andrà a votare con lo schema che uscirà dalle sentenze della Corte Costituzionale, quindi con un sistema elettorale proporzionale, senza tanti correttivi. Sarà privilegiata la rappresentatività a scapito della governabilità. Sia che si voti a giugno, a ottobre o a febbraio 2018 (attento a Franceschini, ora et manovra), gli esiti saranno inevitabilmente maggioranze necessitate e pasticciate (PD + FI + Alfano -se ci saranno i numeri-, magari con 5 Stelle partito di maggioranza relativa, quindi un governo contro) o (5 Stelle + Lega + Fratelli d’Italia + una parte di Forza Italia, possibile legame nazional-populista-trumpista-lepenista di cui ora si comincia a scrivere). Una situazione caotica, ingovernabile, con un corpo sociale impaurito e sballottato, e un’Europa in crisi verticale (con un binomio perverso: sviluppo scarso / populismi abbondanti, riforme necessarie / pulsioni anti-sistema incontenibili, con elettorati frustrati, impoveriti e imprevedibili, mossi prevalentemente dall’odio e dalla vendetta), e un sistema-mondo in via di conflagrazione. Tu, leader del PD, avrai una rappresentanza parlamentare in cui la minoranza (che non farà scissioni prima delle elezioni ma dopo le urne e se e come perderà il Congresso e che, nel frattempo, attuerà il detto della marina borbonica, facimme rumore e ammuina) potrà contare su almeno un 30% di deputati e senatori, quota sufficiente –in quel Parlamento- per paralizzare e ridicolizzare qualsiasi progetto di seria modernizzazione e di radicale innovazione. Ho l’impressione che conosceremo presto tempi incomprensibili per molti di noi, un brutto mondo si sta preparando. Non è che non abbiamo più futuro; ci sono forse solo meno persone capaci di interpretarlo.

Avresti dovuto fare un’altra scelta. Sono d’accordo con l’analisi di Mauro Calise: col referendum costituzionale (così forzato) e con l’Italicum avevi tentato una forzatura bipolarizzante in un quadro ormai tripolare se non quadripolare, una personalizzazione del voto dei cittadini, in un contesto europeo in cui il bipolarismo è in crisi dappertutto. Dovevi approfittare subito del processo di socializzazione politica che c’è stato nel campo del Si, quel fatidico 40 %. Abbandonando il PD, ormai preda di correnti e frazioni notabilari, ormai una confederazione di sottopartiti (lo dice Cuperlo), avresti potuto creare un partito tuo, omogeneo e radicale, e poi cercare un’alleanza democratica, col PD di risulta, con Pisapia e il suo campo, coi moderati di centro. Ti saresti mosso con autonomia, agilità e intelligenza (facendo tesoro del messaggio che, prima di morire tragicamente nel mercatino di Natale, ti aveva inviato da Berlino Fabrizia Di Lorenzo, “cittadina italiana esemplare”). A questo proposito, perché non commissariare il ministro Poletti? Oppure dovevi uscire di scena, dimetterti da segretario del PD, e ritirarti in sabbatico, lasciando quelli del No a cercare di sbrogliare la matassa che avevano deliberatamente costruito, essere una riserva della Repubblica, aspettando un maturarsi imprevedibile delle cose, impostando una battaglia di lungo periodo, non come un qualsiasi capo-corrente costretto a fare accordi minimali con i sempre più numerosi potentati interni. In fondo, si è élite perché si studia e si riesce a risolvere i problemi, per quanto difficili essi siano. Ci si deve ricordare di un prezioso ammonimento di Niccolò Machiavelli: “Nelle repubbliche -quando intervengono fatti nuovi- bisogna trovare parole nuove che li esprimano”.

Tempo fa Paolo Mieli aveva riflettuto sulle ultime, ripetute elezioni politiche in Spagna che hanno segnato l’avvento di un quadripolarismo conflittuale, quattro partiti politici con progetti non conciliabili fra loro. Con un secondo turno di ballottaggio tra le due liste più votate (come previsto dal famigerato Italicum) sarebbero stati i cittadini spagnoli a scegliere la forza politica che li avrebbe governati e non invece -come poi è successo- a doversi affidare a improbabili conciliaboli tra partiti che non vogliono o non riescono a intendersi e tornare più volte al voto senza plausibili risultati in fatto di coerente governabilità. Questo forse avverrà anche in Italia nei prossimi mesi. I cittadini devono imparare a responsabilizzarsi, devono sapere che con il loro voto o non voto determineranno il governo del Paese con tutte le conseguenze che ne deriveranno in economia, nel fisco, nei salari e nella tutela del risparmio, nelle politiche sociali, nei diritti civili, nell’unità o nella disgregazione dell’Europa, nelle relazioni internazionali, nella guerra o nella pace. Devono imparare a votare evitando le pulsioni individuali del rancore e della vendetta. Proprio in questi giorni mi è capitato di rileggere il saggio di Miguel Gotor sulle “Lettere dalla prigionia di Aldo Moro” (Einaudi) e ho riflettuto su una frase dell’autore a p. 252: “Quella fu una lutulenta e sanguinaria stagione in cui la classe dirigente italiana fu preda delle sue ataviche fragilità interne: presa nella morsa delle troppe rivalità, messa sotto schiaffo da un temibile ricatto, invilita dalla reciproca sfiducia, finì per rimanere beffata, umiliata e offesa, schiacciata da un’inarrivabile miscela di supponenza e di superficialità che l’indusse a sottovalutare il nemico che aveva davanti, a pensare di poter essere lei a vincerlo con la sola forza dell’astuzia nell’arte della politica. Una condizione antica, che già Niccolò Machiavelli, abitatore di un altro tempo e acuto osservatore di un’altra crisi, aveva descritto in una celebre pagina “Dell’arte della guerra”, quando spiegava i motivi per cui alla fine del Quattrocento “i principi italiani si erano preparati ad essere preda di qualunque gli assaltava”. Miguel Gotor, dirigente del PD, si è fortemente mobilitato negli scorsi mesi per la vittoria del NO al referendum sulle riforme costituzionali, una proposta di riforma che lui -insieme ad altri della sua corrente- aveva votato improvvidamente in Parlamento.

Spero, comunque, che tu abbia avuto ragione. Ti auguro il meglio e ti saluto,

                                                        Gennaro  Cucciniello

 

  1. P.S. A proposito di sorprese voglio dirtene una. Nel mio paesino di nascita, Bagnoli Irpino, provincia di Avellino, comune appenninico di tremila abitanti, i risultati del referendum sono stati: 49, 10 % per il Si, 50, 9 % per il No (in clamorosa controtendenza col quasi 70 % per il No della regione Campania). A proposito delle analisi che sul voto meridionale per il No hanno parlato di sottosviluppo e fame. Riprendo una frase scritta da Umberto Ranieri in un suo articolo sull’Unità: “Il Sud, macroregione europea di 21 milioni di persone. Definiamone una missione economico-produttiva che tenga conto delle sue specificità storiche, della sua peculiare posizione geo-economica, delle sue ricchezze naturali. Senza un simile orizzonte, si scadrà nella consueta somma di localismi, clientelismi, corporativismi”. Quindi nel nulla. Cerchiamo di vedere più seriamente l’attualità presente e la storia passata.