L’insostenibile leggerezza del mio Fellini
Nella prefazione a “Dizionario intimo” Milan Kundera, grande scrittore ceco, spiega perché gli ultimi film del regista raggiungono le più alte vette dell’arte moderna.
Il mio amore per i film di Fellini è senza limiti. Il nome di Fellini è sempre grande, ammirato, celebre, è diventato perfino un simbolo. “Amarcord” è stato tuttavia il suo ultimo film la cui bellezza poetica ha messo tutti d’accordo. Poi l’immaginazione di Fellini si è scatenata ancora di più e il suo sguardo si è fatto ancora più acuto: la sua poesia è diventata antilirica, il suo modernismo antimoderno. I sette film dei suoi ultimi quindici anni sono stati un ritratto implacabile del mondo in cui viviamo. Il Casanova, l’immagine di una sessualità esibita, condotta fino ai suoi limiti estremi, grottesca; Prova d’orchestra, La città delle donne, E la nave va, un addio all’Italia e all’Europa la cui nave, accompagnata da alcune arie operistiche, se ne va verso il nulla; Ginger e Fred, Intervista, grande addio al cinema, all’arte moderna, all’arte in generale; La voce della luna, addio finale.
Nel corso di quegli anni, irritati dalla sua estetica molto esigente e dallo sguardo disincantato che poneva sul mondo contemporaneo, i salotti, la stampa, il pubblico e anche i produttori se ne sono allontanati. Non dovendo più nulla a nessuno, Fellini allora assapora la gioiosa irresponsabilità, lo cito, di una libertà fino a quel momento sconosciuta. Qualche giorno fa mia moglie Vera e io abbiamo rivisto Intervista. Alla fine del film ci siamo detti: “Sapeva già tutto”.
L’ultimo periodo dell’arte di Fellini ha rappresentato la vetta delle vette, la fusione del sogno e della realtà di cui sognavano i surrealisti. Fellini l’ha realizzata nei suoi ultimi film con una forza incomparabile, effettuando allo stesso tempo un’analisi lucidissima del mondo contemporaneo. I film di Fellini dell’ultimo periodo rappresentano l’apice dell’arte moderna, l’immagine più rivelatrice che conosco del nostro mondo così com’è.
Negli ultimi decenni, dopo Picasso, dopo Stravinskij, dove possiamo trovare un’opera più bella, di un’immaginazione più potente? Dove possiamo trovare un’opera più importante in grado di interrogare, domanda dopo domanda, tutto il destino europeo, le viscere stesse di questo destino?
Quando ho saputo che Fellini aveva deciso di girare “America” di Kafka, ho avuto la strana impressione di una sorpresa che non era tale: la cosa mi è parsa tanto inattesa quanto logica e necessaria. Infatti, solo Fellini poteva, grazie alla sua interpretazione, svelare in modo brutale l’essenza (sempre trascurata, elusa, non compresa) della grande rivoluzione estetica di Kafka: la liberazione radicale dell’immaginazione che, con la facilità del sogno, trasgredisce tutte le regole della verosimiglianza. L’arte moderna, per me, è la storia di questa immaginazione, che Fellini ha condotto verso cime inaccessibili (e forse verso il suo compimento, il suo compimento orgiastico).
Milan Kundera
Kundera (Brno, 1929) è uno scrittore, poeta, saggista e drammaturgo ceco. Tra i suoi maggiori successi, oltre a “L’insostenibile leggerezza dell’essere”, “Lo scherzo” e “Il libro del riso e dell’oblio”.
Questo articolo, apparso ne “La Repubblica” del 3 novembre 2019, è una prefazione-omaggio di Kundera al saggio, “Dizionario intimo per parole e immagini” di Federico Fellini, scritto da Daniela Barbiani (sua nipote e sua assistente alla regia dal 1980 al 1993), Piemme editore.