L’Islam è nel suo secolo buio

L’Islam è nel suo secolo buio

Amin Maaluf esplora le intersezioni tra Occidente e altri mondi.

 

Questo articolo-intervista di Marco Ventura è pubblicato ne “La Lettura” del 25 febbraio 2024, alle pp. 12-13.

 

Libanese, 74 anni, emigrato in Francia nel 1975, Amin Maaluf è tra i protagonisti francofoni più noti del dibattito sui conflitti di civiltà contemporanei. Dapprima giornalista, poi romanziere e saggista, fin dal suo volume del 1983, “Le crociate viste dagli arabi” (edito in Italia da Sei nel 1989 e con una nuova introduzione da La nave di Teseo nel 2020), ha descritto e interpretato l’incontro e lo scontro tra Occidente e Oriente. Dopo il premio Goncourt nel 1993 (“Col fucile del console d’Inghilterra”, Bompiani 1994, La nave di Teseo 2021), il massimo riconoscimento nel Paese d’adozione è giunto nel 2011 con l’elezione all’Académie Francaise, per quella 29° “poltrona” che fu di Claude Lévi-Strauss. Lo scorso ottobre, pochi giorni dopo l’elezione a segretario perpetuo dell’Académie, è uscito il suo nuovo libro: vincitore del Prix Vauban 2023, il volume esce in Italia con il titolo “Il labirinto degli smarriti. L’Occidente e i suoi avversari” per la Nave di Teseo. Ho incontrato l’autore nel suo studio all’Institut de France, sulla Senna, a mille metri dal cantiere in cui, dopo l’incendio del 2019, sta rinascendo Notre Dame.

In che senso, secondo lei, ci saremmo persi? Chi sono gli “smarriti”?

Gli smarriti siamo tutti noi. Viviamo un’epoca appassionante e insieme spaventosa. Nessuna generazione prima della nostra ha avuto tutti questi mezzi per acquisire il sapere. Allo stesso tempo, però, ho l’impressione che abbiamo perso la strada. Non sappiamo dove andare.

Perché?

I fattori sono tanti. La situazione è molto paradossale. Abbiamo i mezzi tecnici e finanziari per costruire il mondo che vogliamo, ma non sappiamo quale mondo costruire, siamo incapaci di impedire ai conflitti di scoppiare, incapaci di fermare i conflitti che scoppiano. Incapaci di far fronte alla sfida climatica. E’ tutto ciò che spiega la parola smarriti.

Il libro suggerisce che solo la cooperazione può salvarci.

Non possiamo più permetterci di vivere in una logica di lotta per l’egemonia. Il mondo è divenuto così sofisticato che ha bisogno di essere gestito in uno spirito di solidarietà. Tra le diverse componenti dell’umanità, tra le diverse potenze. Abbiamo bisogno di lavorare insieme per far fronte alle grandi sfide del clima, della tecnologia.

Ma non ci stiamo riuscendo.

Evidentemente le potenze non ne sono capaci. L’intolleranza cresce dappertutto, all’interno dei Paesi e a livello globale. Non riusciamo più davvero a vivere insieme.

Il libro è una galleria di personaggi decisivi. Contano più gli individui o le società?

Ci sono elementi personali che hanno un ruolo. Ci sono evoluzioni che non dipendono da un elemento personale. La rivoluzione industriale non dipende da questo o quel personaggio. E’ un movimento storico, di società. Ma quando si guarda da vicino l’evoluzione dei Paesi, i fattori individuali sono determinanti. La storia della Russia non sarebbe stata la stessa senza Stalin.

Dunque oggi ci vorrebbero dei personaggi, dei leader?

Non salterei a questa conclusione. Ci sono momenti in cui la società produce una figura. E poi ci sono lunghi momenti in cui la società non può produrre una figura che risolva miracolosamente i problemi. Avremmo bisogno di una grande figura negli USA? Idealmente, sì. Vorremmo un George Washington, forse. Ma la società non produce sempre delle figure di questo peso. Ne abbiamo forse bisogno, ma non è detto che per questo appariranno.

Come definirebbe il suo libro? Un saggio scritto da un romanziere?

Anche se è un libro che non contiene finzione, è un libro che racconta. Quello che volevo raccontare, e mi ha appassionato mentre facevo le ricerche necessarie, è il percorso dei tre Paesi che a partire dal momento in cui l’Occidente è diventato dominante nel mondo, hanno tentato di metterne in discussione il primato. Il Giappone, la Russia, la Cina. Non ve ne sono altri. Alcuni Paesi hanno sognato di essere come loro, altri si sono semplicemente opposti all’Occidente in diversi momenti della sua ascesa. Ma solo loro tre hanno sfidato l’Occidente.

Anzitutto il Giappone.

La storia straordinaria dell’era Meiji ha scosso il mondo, soprattutto al momento della guerra russo-giapponese. Tra i tanti sviluppi vi è stata la deriva degli anni Trenta che ha condotto all’ultranazionalismo, alla follia da cui è derivata la peggiore catastrofe. Poi c’è stata la resurrezione dopo la guerra, su tutt’altra base, senza ricorso alla forza militare. E oggi il Giappone è un pilastro della coalizione occidentale.

Poi la Russia.

Quando ha lanciato la sua sfida al sistema occidentale, non sapevamo quale dei due modelli avrebbe trionfato. Il crollo così rapido del sistema sovietico è uno degli avvenimenti più spettacolari della storia recente. Non siamo ancora usciti dall’indomani di quel crollo. Ciò che viviamo oggi ne è ancora la conseguenza.

Infine, la sfida cinese.

E’ un caso diverso perché non parliamo più soltanto del passato. La vera sfida della Cina all’Occidente non è ieri, è oggi. La Cina è oggi la potenza in ascesa, che dice chiaramente di voler mettere in discussione la supremazia dell’Occidente. Ecco, le tre esperienze sono appassionanti da raccontare e ho avuto voglia di raccontarle, in sostanza.

Il racconto serve a comprendere. Non è fine a sé stesso.

No, non è fine a sé stesso. Ma non è neppure al servizio di una tesi. Credo nella virtù della narrazione. Quando si racconta una storia non si ha bisogno spontaneamente, immediatamente di trarre conclusioni. Bisogna che la storia si sviluppi e che ciascuno tragga le sue conclusioni.

Nel suo libro si parla di occasioni perdute.

Talvolta la storia non offre ulteriori occasioni. Dopo la Prima guerra mondiale l’Egitto ha avuto un momento in cui una certa forma di patriottismo moderno avrebbe potuto portare a relazioni pacificate con l’Occidente. Tutto è crollato a causa di cattive decisioni prese dai britannici e dagli americani. E l’occasione non si è più ripresentata.

Lei si riferisce a USA e Cina come alle due “finaliste” di una competizione. E ora?

Onestamente, non sappiamo ancora. Le relazioni tra le grandi potenze sono talmente pessime che uno sbandamento tecnologico può provocare una deflagrazione. Non possiamo escluderlo. Possiamo sperare, pregare, che accada come con la crisi dei missili a Cuba nel 1962.

Lei scrive che la demolizione del Muro di Berlino è stata una Hiroshima al contrario.

Pensiamo che in fondo le cose si sistemeranno. Ma non è sicuro che ogni volta le cose si sistemino miracolosamente. Si può solo sperarlo.

La interessa il sistema religioso dell’Asia orientale.

Mi è parso interessante sottolineare che nel mondo confuciano non vi è un legame tra religione e identità nazionale, come invece nel mondo musulmano, cristiano, ebraico e anche induista. Non per questo si evitano dittature e persecuzioni. Ma c’è qualcosa di interessante. Nell’ottobre 2022, mentre scrivevo il libro, sono stato in Corea del Sud, dove il rapporto tra buddhismo e comunità cristiana è pacifico. Per l’idea confuciana ciò che conta è il comportamento civile, non la visione dell’aldilà.

Corea del Sud e Giappone, però, sono ben diversi dalla Cina che reprime la libertà religiosa.

E’ vero. Ciò nonostante, questa forma speciale che chiamerei tra virgolette “laicità confuciana” merita riflessione.

Il suo giudizio sul mondo arabo-musulmano è molto negativo.

E’ chiaro che questo mondo attraversa uno dei suoi periodi più oscuri. Vi sono state pagine luminose nel passato. Ci sono persone meravigliose che vengono da questa regione del mondo. Tantissime. Non appena collocate in un ambiente favorevole, possono fare cose straordinarie. Ma il dramma è che le società del mondo arabo-musulmano soffocano la creazione, le iniziative, la democrazia.

Gli occidentali vedono oggi una minaccia nell’Islam.

Questa minaccia è legata al fatto che l’indebolimento del mondo arabo-musulmano ha portato a comportamenti irrazionali, che si sono tradotti in atti di violenza individuale, cieca, talvolta spettacolari, come nell’evento emblematico dell’11 settembre…

Di cui però non parla mai nel libro…

Ne ho parlato in altri volumi, non qui. Qui racconto le tre sfide alla supremazia dell’Occidente. Ciò che accade nel mondo musulmano è importante, ma non costituisce una sfida. Non ci sono potenze capaci di giocare questo ruolo.

Che cosa rappresenta questo libro nel suo percorso di scrittore?

Venticinque anni fa ho constatato l’emergere del fenomeno identitario e gli ho dedicato un libro che si intitolava “Identità assassine”. Poi mi ha colpito il fatto che viviamo in un mondo sregolato non solo climaticamente, ma anche economicamente e politicamente, e ho scritto “Il mondo senza regole”. Oggi ci chiediamo se l’Occidente conserverà il suo primato e ho voluto riunire degli elementi fattuali che consentano di riflettere sul rapporto tra l’Occidente e il resto del mondo.

Tanti libri, un’unica ricerca?

Uno dei miei sogni è vedere l’Occidente e il mondo confuciano trovare una formula d’intesa. I due hanno bisogno l’uno dell’altro. Le società confuciane hanno bisogno dell’Occidente, della sua iniziativa, del suo culto della libertà, e l’Occidente ha bisogno di un po’ di senso del dovere, del legame con le generazioni precedenti. Ci sono elementi culturali interessanti in questi due universi. Meriterebbero una sintesi.

 

Amin Maaluf                              Marco Ventura