Mademoiselle Ninon de Lenclos, libertina epicurea
La donna che seppe tener testa al Re Sole
Pubblico un articolo di Eugenio Scalfari, uscito nell’Espresso del 4 novembre 2018, a pag. 108, nella sua Rubrica, “Il vetro soffiato”.
Nei lontani anni Sessanta del Novecento avevo letto di Giovanni Macchia il saggio, “La scuola dei sentimenti”, Sciascia editore, 1963. Nel capitolo “Don Giovanni e i libertini”, a pag 159, Macchia annotava: “Sarà bene distinguere tra dongiovannismo e libertinismo. La corrente libertina ha, come si sa, le sue origini nel Rinascimento italiano, e deve all’influenza del nostro Rinascimento la sua formazione in Europa. Spiriti forti, liberi pensatori, francamente atei, intelligenze sottili, che affermano l’indipendenza e l’autonomia della ragione, ed hanno in sospetto il sentimento, come base della falsa fede, delle superstizioni e delle credenze. Quando questi libertini verranno contagiati dal dongiovannismo, quando cioè eserciteranno in campo erotico quelle loro indipendenti dottrine, sarà facile capire quali saranno le conseguenze. Il libertinismo sembrò corrompersi a contatto col dongiovannismo, e lo stesso termine perdette ciò che aveva di idealmente puro, come ad esempio per un Saint-Evremond, e decadde nella accezione comune e che oggi è la più conosciuta”.
Mi sembra che Scalfari, nel suo articolo, dimostri di essere consapevole di questa linea d’ombra.
Gennaro Cucciniello
Epicuro è un personaggio dell’epoca ellenica e cominciò a diffondere la sua dottrina nell’Atene del 320 a.C. Una dottrina che subì nei secoli, anzi nei millenni, molti cambiamenti, ma più di forma che di sostanza. E la sostanza è questa: religiosi o atei possono rendersi felici in una prima ma molto breve fase, poi subiscono dolore, delusione, rabbia e mutamento. La vita di ciascuno di noi tende a trasformarsi in un inferno, quali che siano le strade che prenderà: l’egoismo, sperando di mettere l’anima in pace, oppure l’altruismo, ma in tutti e due i casi ritornano ancora tristezza, delusione e rabbia; la vita dell’uomo è quindi sprecata salvo che l’obiettivo perseguito sia il Piacere. Un Piacere tranquillo, non furioso né troppo intenso; un’umanità che ama essere considerata e convivere con tutti gli altri dolcemente in modi appropriati e liberi nelle scelte confacenti.
Questa dottrina ha affrontato epoche di notevole diffusione e altre di decadenza ma ha comunque resistito e non è mai scomparsa. Si accompagna anche ad una sottile malinconia, apparentemente dovuta al tempo che passa; ricorda in qualche modo le eclissi di luna: anch’esse fanno parte del Piacere: la nostra vita è complessa e il Piacere resiste ad una lacrima di malinconia che è il meglio che possiamo ottenere anche nella fase del trapasso. Lo ricorda anche Villon nel suo Testamento, dove l’epicureismo era il sentimento dominante e con esso, appunto, la malinconia.
Chi lo spiegò tra i più sagaci fu un francese a metà del Seicento: Saint-Evremond, che scrisse: non vedo nulla di meglio di quella dottrina. Che lui comunicò nelle sue linee fondamentali ad un’amica molto più giovane di lui e abbastanza singolare: Mademoiselle Ninon de Lenclos, della quale si è molto discusso nel suo tempo ma anche dopo e fino ad oggi. Questi due personaggi sono assai differenti l’uno dall’altro ma connessi da un sentimento di amicizia assai affettuosa e sono stati raccontati in modo molto approfondito e brillante da Daria Galateria (Sellerio Editore) pubblicando le lettere più significative scritte da Saint-Evremond a Ninon e presentandole con la sua descrizione del personaggio di Ninon. E’ un modo brillante che usa la Galateria per approfondire la conoscenza dell’epicureismo in quell’epoca dove si erano verificati molti contrasti ideologici, filosofici e anche politici che Ninon a suo modo ha rappresentato. Era in contatto con tutti i personaggi della corte, salvo il re. Molti degli altri suoi conoscenti altolocati avevano goduto il piacere di rapporti intimi con lei; intimi e brevi che potevano tuttavia ricominciare (sempre brevemente) e talvolta, se l’età lo avesse consentito, con i loro figli molto giovani.
Ninon dava se stessa con il corpo e la mente; a suo modo creava un tipo di piacere fisico e intellettuale. La Galateria infatti, descrivendola, racconta anche –Epicuro a parte- l’atmosfera di quel periodo dove i personaggi di maggior rilievo rispondono nientemeno ai nomi del cardinale di Richelieu (con il quale Ninon ebbe anche rapporti sessuali), il cardinale di Retz, la Fronda, i Condé, le dame di corte abbastanza numerose, il cardinale Mazzarino, la regina Anna d’Austria e altri personaggi non meno interessanti tra i quali si distingueva il principe di Marcillac che poi diventò, alla morte di suo padre, il duca di La Rochefoucauld. Tra le poche cose che indispettivano Ninon, il cui carattere era di natura molto cordiale, c’era una delle massime di La Rochefoucauld: “Il male delle donne è la vecchiaia”. Ninon ebbe una vita attiva e consapevole della realtà che la circondava molto lunga. C’è un episodio che ne dà conferma: un alto magistrato era molto innamorato di lei e voleva avere a tutti i costi un rapporto amoroso. Quando questo corteggiamento si manifestò, Ninon aveva 60 anni, che per lei erano poca cosa, anche fisicamente. Quel suo innamorato non esercitava su di lei alcuna attrazione ma la cortesia la indusse a dargli un appuntamento: “Io le concederò volentieri di passare una notte insieme il giorno in cui compirò 70 anni. Quel giorno se lei vuole si faccia vivo con me e staremo insieme, dopodiché non avrò alcun rapporto amoroso con nessuno”.In realtà le cose andarono esattamente in quel modo dieci anni dopo. L’uomo fu felice e lei da allora entrò in castità ma continuò a vivere pienamente la sua vita sociale ed anche politica.
Ebbe un contrasto assai vivace con la Corte reale a proposito di Molière. Dopo due o tre esibizioni pregevoli nel Palazzo Reale, Molière ne preannunciò una successiva che dal titolo prometteva assai male (“Tartufo”). Il re si fece spiegare la trama e pose il veto impedendo a Molière di varare i suoi lavori a corte. La Ninon fu informata di questa situazione e naturalmente prese le parti di Molière che conosceva e stimava moltissimo. Radunò una quantità di nobili ai quali il divieto imposto dal re non era affatto piaciuto e che dimostrarono, con Ninon alla testa, la loro protesta. Ne dettero dimostrazione più volte fino a quando il re Luigi XIV accettò di rivedere le sue decisioni e Molière fu ammesso di nuovo a recitare a corte e presentare le sue commedie.
Di Ninon si conoscono molte frasi e la Galateria ne riporta alcune divertenti e significative, l’ultima delle quali fu quando –lei ormai moribonda- prima di chiudere gli occhi per sempre riuscì a dire: “lascio solo dei morenti”.
Questo fu quel secolo XVII°. Epicuro si sarebbe trovato a suo agio.
Eugenio Scalfari