Michelangelo Buonarroti, “Pietà”, 1550-1555, Firenze, Museo dell’Opera del Duomo
L’opera.
Mentre Michelangelo è impegnato intensamente nei progetti di varie opere pubbliche a Roma, soprattutto architettoniche, in privato torna ad esercitarsi nella scultura –filo conduttore di tutta la sua vita- e riprende il tema giovanile della “Pietà”. Sono opere queste senza committenti, create per se stesso: sono il vero diario segreto degli ultimi suoi anni, ne rivelano il pensiero, l’idea della morte del corpo e della vita eterna. Michelangelo lo scrive anche in una sua poesia di questi stessi anni (1552-’54): “Giunto è già ‘l corso della vita mia / con tempestoso mar per fragil barca,/ al comun porto, ov’a render si varca / conto e ragion d’ogni opra trista e pia./ Onde l’affettuosa fantasia,/ che l’arte mi fece idol e monarca,/ conosco or ben com’era d’error carca,/ e quel ch’a mal suo grado ogn’uom desia./ Gli amorosi pensier, già vani e lieti,/ che fien or, s’a duo morte m’avicino?/ D’una so ‘l certo, e l’altra mi minaccia./ Né pinger né scolpir fie più che quieti / l’anima volta a quell’amor divino/ ch’aperse a prender noi ‘n croce le braccia”.
Stando alle testimonianze del Vasari e del Condivi Michelangelo progettava di essere sepolto a Roma nella basilica di Santa Maria Maggiore. Questo gruppo statuario era destinato alla sua tomba: ecco perché nel viso di Nicodemo si riscontrerebbe la sua fisionomia. Poi però avrebbe cambiato idea, desiderando di essere sepolto a Firenze, e cessò di lavorarci. Per un periodo la ebbe nel suo laboratorio il mediocre scultore, e suo allievo, Tiberio Calcagni, che terminò la figura della Maddalena e aggiunse la gamba sinistra di Gesù, mancante perché –per un difetto del marmo- la parte corrispondente saltò via mentre l’autore la stava scolpendo. La gamba aggiunta dal Calcagni fu poi tolta in quanto non autografa, ma la composizione era talmente bella e coerente che quasi non se ne notava la mancanza. Scrive infatti il Vasari: “manca la gamba sinistra ma è un difetto che non si nota a prima vista”. Risalta con più evidenza il braccio sinistro del Cristo che, dopo essere stato danneggiato, fu reinserito malamente dal Calcagni. Il gruppo statuario fu trasferito a Firenze nel 1674.
Aveva circa settantacinque anni Michelangelo quando decise di lavorare per sé solo, senza alcuna commissione, scalpellando di tanto in tanto, a più riprese, alcuni blocchi di marmo conservati nel suo laboratorio. Erano passati più di cinquanta anni dalla sua giovanile, classicistica, bellissima Pietà del 1498.
Descrizione.
La composizione, con una sorta di mescolanza iconografica fra la tipologia del Compianto e quella della Deposizione, si allarga a quattro personaggi, ricavati tutti in un unico blocco: oltre a Gesù e a Maria ci sono anche la Maddalena e Nicodemo (qualche studioso, Bertelli ad esempio, scrive che è –invece- Giuseppe D’Arimatea). Le masse delle tre persone si intrecciano intorno al corpo di Cristo componendo un trittico che racchiude da tre lati la grande figura del morto che frana verso terra. Una continua, lenta torsione dalla testa dell’incappucciato scende attraverso la S del corpo di Cristo fino al ginocchio, dove la lunga e magrissima gamba si piega ad angolo retto. Da questa si può risalire su per il corpo della madre, che serra a destra la composizione segnando con la propria testa, accostata a quella del figlio sul fondale della spalla curva del Nicodemo, una pausa tenera e dolorosa nel movimento continuo della discesa. Ci sono dolore e tenerezza. L’unica visione è quella frontale. Sulla destra, appena sbozzata c’è la figura della Madonna. A sinistra, in pendant, c’è la Maddalena ma il personaggio –rifinito e completato dal Calcagni- rivela il carattere gelido dell’esecuzione e rimane estraneo al racconto drammatico. In alto c’è Nicodemo, ammantato e incappucciato, che cala il corpo di Gesù. L’autore anche qui riprende il consueto schema a serpentina: che però non tende verso l’alto, ma –al contrario- verso il basso, in una caduta appena rallentata: come se il corpo morto volesse tornare alla terra. Giulio Carlo Argan, con acutezza, annota che in quegli anni Michelangelo “stava lavorando alla costruzione della nuova basilica di San Pietro, come fosse un bastione contro l’eresia: e c’è una strana affinità tra quel tempio fatto di spinte salienti a portare la cupola e questa Pietà, cominciata per la propria tomba e poi abbandonata. La scultura, insomma, pareva finire in architettura”.
Nicodemo o Giuseppe D’Arimatea?
Nei libri di storia dell’arte si riporta che Nicodemo, secondo i testi sacri, era stato colui che aveva unto il corpo di Gesù prima della sepoltura. Sono andato a confrontare i Vangeli. Matteo non cita Nicodemo (27, 57-61): “Poi, fattosi sera, venne un uomo ricco di Arimatea, chiamato Giuseppe, il quale era divenuta anch’egli discepolo di Gesù. Questi, presentatosi a Pilato, chiese il corpo di Gesù. Allora Pilato comandò che il corpo gli fosse rilasciato. E Giuseppe, preso il corpo, lo involse in un lenzuolo netto e lo pose nella propria tomba nuova, che aveva fatto scavar nella roccia e dopo aver rotolato una gran pietra contro l’apertura del sepolcro, se ne andò. Or Maria Maddalena e l’altra Maria eran quivi, sedute dirimpetto al sepolcro”. Marco (15, 42-47) è più particolareggiato ma anche lui tace sul personaggio: “Ed essendo già sera (poiché era Preparazione, cioè la vigilia del sabato), venne Giuseppe d’Arimatea, consigliere onorato, il quale aspettava anch’egli il Regno di Dio; e, preso ardire, si presentò a Pilato e domandò il corpo di Gesù. Pilato si meravigliò ch’egli fosse già morto; e chiamato a sé il centurione, gli domandò se era morto da molto tempo; e saputolo dal centurione, donò il corpo a Giuseppe. E questi, comprato un lenzuolo e tratto Gesù giù di croce, l’involse nel panno e lo pose in una tomba scavata nella roccia, e rotolò una pietra contro l’apertura del sepolcro. E Maria Maddalena e Maria madre di Iose stavano guardando dove veniva deposto”. Luca (23, 50-55) conferma: “Ed ecco un uomo per nome Giuseppe, che era consigliere, uomo da bene e giusto, il quale non avea consentito alla deliberazione e all’operato degli altri, ed era da Arimatea, città de’ Giudei, e aspettava il regno di Dio, venne a Pilato e chiese il corpo di Gesù. E trattolo giù di croce, lo involse in un lenzuolo e lo pose in una tomba scavata nella roccia, dove niuno era ancora stato posto. Era il giorno della Preparazione, e stava per cominciare il sabato. E le donne che eran venute con Gesù dalla Galilea, avendo seguito Giuseppe, guardarono la tomba, e come v’era stato posto il corpo di Gesù”. Solo Giovanni (19, 38-41) introduce Nicodemo: “Dopo queste cose, Giuseppe d’Arimatea, che era discepolo di Gesù, ma occulto per timore de’ Giudei, chiese a Pilato di poter togliere il corpo di Gesù; e Pilato glielo permise. Egli dunque venne e tolse il corpo di Gesù. E Nicodemo, che da prima era venuto da Gesù di notte, venne anche egli, portando una mistura di mirra e d’aloe di circa cento libbre. Essi dunque presero il corpo di Gesù e lo avvolsero in pannilini con gli aromi, com’è usanza di seppellire presso i Giudei. Or nel luogo dov’egli fu crocifisso, c’era un orto; e in quell’orto un sepolcro nuovo, dove nessuno ancora era stato posto. Quivi dunque posero Gesù, a motivo della Preparazione de’ Giudei, perché il sepolcro era vicino”.
Però nel Vangelo di Giovanni c’è un altro passo dedicato a Nicodemo (3, 1-12), un passo molto significativo: “Or v’era tra i Farisei un uomo chiamato Nicodemo, un de’ capi de’ Giudei. Egli venne di notte a Gesù, e gli disse: Maestro, noi sappiamo che tu sei un dottore venuto da Dio; perché nessuno può fare questi miracoli che tu fai, se Dio non è con lui. Gesù gli rispose dicendo: In verità, in verità io ti dico che se uno non è nato di nuovo non può vedere il regno di Dio. Nicodemo gli disse: Come può un uomo nascere quand’è vecchio? Può egli entrare una seconda volta nel seno di sua madre e nascere? Gesù rispose: In verità, in verità io ti dico che se uno non è nato d’acqua e di Spirito, non può entrare nel regno di Dio. Quel che è nato dalla carne, è carne; e quel che è nato dallo Spirito, è spirito. Non ti maravigliare se t’ho detto: Bisogna che nasciate di nuovo. Il vento soffia dove vuole, e tu ne odi il rumore, ma non sai né donde viene né dove va; così è di chiunque è nato dallo Spirito. Nicodemo replicò e gli disse: Come possono avvenir queste cose? Gesù gli rispose: Tu se’ il dottor d’Israele e non sai queste cose? In verità, in verità io ti dico che noi parliamo di quel che sappiamo, e testimoniamo di quel che abbiamo veduto; ma voi non ricevete la nostra testimonianza. Se vi ho parlato delle cose terrene e non credete, come crederete se vi parlerò delle cose celesti?” (…) (3, 16-17): “Poiché Iddio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figliuolo, affinchè chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna. Infatti Iddio non ha mandato il suo Figliuolo nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui”.
Il passo è interessante perché avvalorerebbe la tesi di un Michelangelo che si identificherebbe nell’autorevole ma prudente Fariseo, la tesi cioè di un Michelangelo nicodemita. Chi erano i Nicodemiti? Nicodemo, in base al racconto del Vangelo di Giovanni, di notte andava di nascosto a parlare con Gesù e ad ascoltarlo mentre di giorno manifestava una piena adesione al fariseismo. Con “nicodemismo” si intende quindi quel comportamento di dissimulazione ideologica, religiosa o politica, che porta ad aderire e a conformarsi, nell’apparenza, alle opinioni dominanti della propria epoca. Anche per Michelangelo si è ipotizzata l’adesione nicodemita alla dottrina della giustificazione per sola fede, propria della Riforma protestante e del circolo Valdesiano, promosso cioè da Juan de Valdès, a cui, fra gli altri, apparteneva Vittoria Colonna, con la quale l’artista ebbe un lungo e fitto rapporto, intessuto di interessi artistici e religiosi. Nell’analisi di due disegni regalati dallo scultore a Vittoria, una “Pietà” ora a Boston al Gardner Museum e un “Crocifisso” ora conservato al British Museum di Londra, insieme allo studio di alcune rime religiose, si è cercata la conferma dell’adesione dei due alla dottrina della fede come dono gratuito. Un suggestivo indizio sarebbe proprio il Michelangelo-Nicodemo di questa “Pietà”.
Il gruppo ha uno sviluppo rigorosamente piramidale, che culmina al vertice con l’immagine incombente della figura incappucciata, che –a sua volta- equilibra l’angoscioso abbandono del corpo di Gesù. Nel volto semi-celato dal cappuccio Michelangelo scolpisce il suo autoritratto, volendo così testimoniare la sua partecipazione e la sua vicinanza spirituale alla morte di Cristo. Nicodemo o Giuseppe indossa una lunga veste e appare chinato in avanti, nell’atto quasi di congiungere madre e figlio, nell’ addolorata osservazione del loro ultimo abbraccio. Egli è curvo in avanti a contemplare Gesù (che sostiene per un braccio) e la madre (che conforta, appoggiandole una mano sulla spalla). Con angosciata pietà sembra anche voler sostenere le due donne incapaci di trattenere il corpo senza vita.
La Madonna.
La figura di Maria, solo sbozzata, siede sulla destra, accostando e sovrapponendo la sua testa a quella del figlio, in un rapporto privilegiato. I due, attraverso il non-finito, tornano ad essere un corpo solo e il loro abbraccio rivela, come meglio non si poteva, il profondo turbamento spirituale di questi anni in Michelangelo, le sue lunghe meditazioni sul sacrificio di Cristo e sul problema della salvazione.
Il corpo di Cristo.
Il franare a terra del grande corpo di Gesù, di proporzioni superiori a quelle delle altre figure, è senza dubbio l’idea-base intorno alla quale l’autore volle costruire l’intera impalcatura dei personaggi impegnati nel doloroso sforzo di sostenerlo. E’ il fulcro della scena e fu la prima e l’unica ad essere rifinita da Michelangelo.
Il tema è ancora una volta il corpo senza vita di Gesù, ma non più statico come nel Crocifisso ligneo giovanile di Santo Spirito a Firenze o nel gruppo classicistico di San Pietro. Questa volta appare appena tolto dalla croce –corpo morto ma in movimento passivo- sostenuto dai tre dolenti. E’ impressionante la torsione disarticolata del corpo che tende inesorabilmente a scivolare verso il basso, sorretto invano dalle Marie. E’ una caduta lenta e angosciosa, che diventa inarrestabile quanto più si scende: l’andamento curveggiante del gruppo diventa angoloso nel ginocchio di Gesù, con la magra gamba che si piega puntando in basso. Scrive il Bairati che “le certezze rinascimentali della struttura piramidale sono travolte dalla grave inerzia delle membra del Cristo, allentate nella morte e consunte dalla sofferenza”. Sono ritmi aspri e spezzati, un crescendo di intensità dolorosa che culmina nei drammatici accenti del non-finito.
Durante la realizzazione del gruppo, però, accade un imprevisto. Forse a causa di una venatura di silicio nel marmo la lavorazione risulta compromessa. La delusione di Michelangelo è atroce e il nostro scultore reagisce in modo furioso. Il braccio sinistro di Gesù è frantumato all’altezza del gomito –ancorché riattaccato- e il busto presenta segni di violente martellate, come se il Buonarroti si fosse accanito ferocemente sulla figura ormai infranta e che rifiutava di essere portata a termine. La gamba sinistra del Salvatore, che doveva scavalcare il ginocchio di Maria, viene spiccata dal blocco e perduta in modo irrimediabile: l’ultima notizia che se ne ha è nell’inventario dei beni di Daniele da Volterra, del 1565, ove appare come una reliquia abbandonata. La sua presenza avrebbe aumentato l’effetto di sofferente e scoordinata spezzatura del corpo di Gesù, presentato all’osservatore –come ho già fatto notare- attraverso spigoli e angolosità, mentre i magri arti scivolano a terra. L’artista interrompe la scultura che doveva rappresentare una sorta di monumento al suo pensiero estetico.
Conclusione.
Gli ultimi anni di Michelangelo sono segnati dalle sue riflessioni sulla morte di Cristo, sul suo sacrificio per la salvezza degli uomini: il profondo turbamento spirituale di questi anni, rivelato anche dai suoi dipinti del Giudizio Universale nella Sistina e dagli affreschi della Cappella Paolina in Vaticano, è dimostrato anche dagli appassionati versi delle sue poesie e nei densi chiaroscuri dei suoi disegni, in particolare in quelli preparati per la perduta Crocifissione dipinta per Vittoria Colonna (1545 circa). Nelle sue ultime Pietà c’è una stupefacente energia nella ricerca dell’espressione di valori esclusivamente spirituali, al di là di ogni concezione di bellezza e di compiutezza formale.
Giorgio Vasari fu testimone diretto di un suo colloquio notturno con Michelangelo avvenuto poco tempo prima della morte del grande scultore: “Il Vasari, mandato dal papa a un’ora di notte per un disegno a casa di Michelagnolo, trovò che lavorava sopra la Pietà di marmo che e’ ruppe. Conosciutolo Michelagnolo al picchiar della porta, si levò dal lavoro e prese in mano una lucerna dal manico (…) e entrati in altro ragionamento, voltò intanto gli occhi il Vasari a guardare una gamba del Cristo, sopra la quale lavorava e cercava di mutarla; e per ovviare che il Vasari non la vedessi, si lasciò cascare la lucerna di mano e, rimasti al buio (…) disse: “Io sono tanto vecchio, che spesso la morte mi tira per la cappa, ché io vadia seco, e questa mia persona cascherà un dì come questa lucerna, e sarà spento il lume della mia vita”.
Gennaro Cucciniello