Risposte al questionario di “Palazzo Tenta”
In occasione del decennale dell’associazione Palazzo Tenta 39 mi è stato inviato un questionario in qualità di socio fondatore. Il Responsabile del Sito Web, l’amico Mimmo Nigro, mi ha spiegato che le opinioni dei soci potevano far capire meglio se la strada intrapresa in questi anni è stata quella giusta e aiutare a comprendere quali correttivi eventualmente apportare per assicurare ancora un futuro al Circolo. Ho acconsentito volentieri alla richiesta: queste sono state le mie risposte.
Questo anno “Palazzo Tenta” compie dieci anni. Lei è stato tra i promotori e soci fondatori di questa iniziativa.
Ricordo bene. Nell’estate del 2007 si cominciò a parlare tra noi della possibilità di creare a Bagnoli un circolo culturale che permettesse alla comunità di partecipare, discutere, confrontarsi sui problemi ritenuti fondamentali per la vita e il futuro del paese. Bisognava trovare persone capaci di assumersi responsabilità in proprio, capaci di suscitare passione e speranza, incuranti anche di critiche e borbottii. Di una cosa ero assolutamente convinto: l’associazione non nasceva con obiettivi politici ma con finalità di formazione culturale e di educazione civile. Per questo era necessaria la trasversalità politica: persone appartenenti a campi ideologici diversi –anche opposti- e con formazione culturale plurale dovevano essere liberi di confrontarsi per arricchire le reciproche possibilità di ascolto, l’approfondimento critico, le curiosità di metodo.
Volevamo rivolgerci all’opinione pubblica, non all’emozione pubblica bagnolese. La tecnologia di Internet ci avrebbe permesso di superare spazio e tempo e di sollecitare anche i tanti bagnolesi che vivono in Italia e all’estero a stabilire –in Rete- contatti permanenti e a diventare le nostre finestre, le nostre orecchie, il nostro radar. E questo, io speravo, avrebbe anche potuto esaltare le capacità dei nostri giovani, tanto coccolati come consumatori quanto emarginati come produttori. Ma le speranze ebbero vita breve: molte orecchie si chiusero, l’ascolto divenne difficile, era subentrata la logica dell’amico/nemico. Si trascurò troppo superficialmente il fatto che, se le ideologie ci separano, i sogni e le angosce ci uniscono.
Dopo le polemiche seguite alla sua conferenza tematica, nel 2009 ha deciso di fare un passo indietro e di non proseguire questa esperienza. Ci spieghi meglio la sua decisione.
Fin dalla creazione dell’Associazione io sono stato convinto che uno dei temi su cui richiamare l’attenzione dei bagnolesi fosse la crisi della democrazia rappresentativa in Occidente e il ruolo delle classi dirigenti nel determinare la vita delle nazioni. Per questa ragione avevo scelto –come tema di una mia lezione nell’ottobre 2008- una riflessione sulle classi dirigenti che a Bagnoli avevano attraversato tre secoli, dal 1648 al 1948, e guidato la comunità in tre momenti cruciali: la guerra antifeudale nel Sud nel 1647-’49 e l’adesione di Bagnoli alla Repubblica napoletana in opposizione alla monarchia spagnola, gli echi locali della repressione borbonica dei moti carbonari del 1820-’21, le elezioni del 1946 e del 1948. In tutte e tre queste occasioni si erano registrati legami interessanti tra scelte locali e grandi appuntamenti nazionali e internazionali, in modo interessante il locale si connetteva al globale. E riflettevo anche su che cosa significasse essere classe dirigente oggi e sulle possibilità di avere fiducia nella democrazia delegata: cominciava già allora ad affacciarsi il tema populista dell’antipolitica, il nodo dei doveri dei rappresentanti eletti e dei diritti dei cittadini rappresentati. Non nascondo una mia convinzione: è suggestivo per noi italiani, e anche autolesionista, mandare in Parlamento e nei Consigli regionali e comunali personale politico impreparato e incapace e che poi ci piace disprezzare. E abbiamo anche un vizio antico: ci siamo abituati a sputare sul Potere senza mai guardarci allo specchio. Non siamo capaci di fare autocritica, vogliamo essere autoreferenziali.
A corredo dell’analisi di alcuni fatti storici affrontavo anche il ruolo dei miracoli nella realtà storica. Ci furono nei mesi tra il novembre 2008 e l’estate 2009 polemiche accese su alcune mie affermazioni, polemiche –anche volgari- che però non erano supportate da documentazioni precise né da riscontri fattuali. La storiografia, quando ha valore civile, non consola bensì pone domande e suscita interrogativi, è sapere critico e ha il dovere di difendere la verità. Comunque mi ero reso conto che l’interesse e il valore che per me aveva avuto la fondazione del Circolo non trovavano rispondenza nel contesto paesano; perciò ritenni di dovermi ritirare dall’Associazione.
L’Associazione, nonostante tutto, ha proseguito nella sua “Mission” anche se ha dovuto in parte riposizionarsi rispetto agli intendimenti iniziali. Forse il paese non era (e forse non lo è ancora) pronto per un progetto così ambizioso come quello da lei immaginato?
Un circolo culturale –prevedibilmente- deve promuovere attività culturali. E in questo orizzonte avevamo pensato di muoverci nei primi due anni: per esempio, dopo approvazione dell’assemblea degli iscritti, organizzammo venti conferenze tematiche in ambiti diversi affidandole tutte a cittadini/e residenti a Bagnoli o nativi/e del nostro paese. Era la testimonianza palese della vitalità intellettuale della nostra comunità, dell’ampiezza e della profondità delle energie culturali di cui potevamo disporre. Sicuramente furono fatti errori: il non riuscire a creare gruppi di lavoro organizzati e stabili che –su temi definiti- portassero avanti le ricerche indispensabili e lo studio disciplinato, superando l’episodicità e la sterilità della singola conferenza; il non riuscire a creare una rete di contatti che andassero al di là del singolo paese e collegassero realtà omogenee di un territorio più vasto; il non riuscire a stimolare la partecipazione fattiva delle energie giovanili del paese pur avendo registrato quasi un centinaio di iscritti. La domanda centrale, però, era: di quali attività culturali aveva bisogno Bagnoli? Qui c’è stato il difetto di prospettiva: occorreva definire con più precisione il concetto di “attività culturali”.
Sicuramente, a posteriori e guardando dall’esterno l’esperienza di questi dieci anni, mi sono convinto che il progetto iniziale peccava di astrattezza illuministica e che avrebbe avuto bisogno di tempi più lunghi e lenti di realizzazione, nonché di un lavoro costante, capillare e metodico di formazione e di stimolo che aiutasse a superare pregiudizi ideologici e una troppo facile abitudine paesana alla critica non supportata da documentazione. Ottima e generosissima, perciò, è stata la scelta operata da chi è rimasto nell’associazione e si è impegnato a sostenerla e a svilupparla con grandissima dedizione, impegno quotidiano e innegabile successo.
Come mai in questo genere di iniziative i giovani stentano a farsi coinvolgere, a partecipare attivamente?
Grande questione, questione incomprensibile. Per millenni i giovani, magari riuniti in minoranze organizzate, si sono impossessati del potere con feroce aggressività. Valutiamo gli ultimi due secoli: dal 1789 al 1848 hanno squassato l’Antico regime; nel 1859-1861 sono stati artefici importanti dell’unità italiana; nel ‘900 le rivoluzioni (sovietismo, fascismo, nazismo, Resistenza) e i movimenti intellettuali e artistici, tutti giovanilistici, hanno scompaginato il vecchio assetto liberale e le tradizioni culturali consolidate. Il ’68 ha fallito l’assalto al potere ma ha sconvolto il tradizionale modo di vivere sia in Occidente che in Oriente, ha ampliato i diritti sociali e le libertà private all’insegna dell’apertura mentale e del cambiamento culturale, anche se ha fatto registrare il predominio dell’annuncio della volontà sulla fatica della costruzione per gradi. Dopo, tutto si è assopito in una quiete attonita. Non è mai successo che le vecchie generazioni invitassero i giovani a partecipare, a darsi da fare, a dire la loro e questi restassero –quasi imbambolati- a messaggiarsi sui Social e a farsi i selfie, con un noncurante senso di estraneità. Tanti “io” garruli e auto-compiaciuti, senza personalità e senza carattere; esistere ed esibirsi a rischio zero, un “coccolarsi di massa” dice il Censis. Dicono che sono generazioni, soprattutto quelle occidentali, narcise e inconcludenti, mah! Anche provando a osservarle da diversi punti di vista a me sembrano persone che di fronte alle difficoltà reagiscono sentendosi vittime e nello stesso tempo irresponsabili (nel senso proprio di non responsabili, privi di colpe perché privi di doveri civili). Le lacerazioni tragiche del ‘900 hanno lasciato il posto a un disincanto generalizzato. Nei loro comportamenti, in generale, si avverte la mancanza di una scala delle priorità, di una gerarchia di valori. Io ricordo che negli anni Sessanta e Settanta del ‘900 prevaleva, soprattutto tra i giovani, una presa di distanza critica dal “feticismo degli oggetti”; nei decenni successivi l’edonismo consumistico ha preso il posto delle passioni politiche e ha creato un vero e proprio culto degli oggetti (si pensi alla diffusione illimitata degli smartphone). Ma questa moltiplicazione compulsiva degli oggetti, provocata anche dal crollo delle ideologie collettive, anziché riempire il vuoto di senso che scava le nostre vite, lo ha allargato a dismisura, determinando quelle che uno psicanalista definisce “nuove malinconie”.
Io preferisco decisamente chi, tra le giovani generazioni, accetta la sfida della verità, si convince che la curiosità è la più pura forma di insubordinazione, perciò sfida il dolore e il fallimento e si impegna nel fare, nello spendere energie e intelligenza, nello stare insieme: una spinta alla trasformazione del mondo, di se stessi e degli altri, così come hanno fatto nei secoli tutte le generazioni giovanili precedenti. In fondo nessuna generazione è migliore o peggiore di un’altra e i giovani d’oggi dispongono di risorse un tempo inimmaginabili per sviluppare ogni intuizione. Nella Rete di Internet essi trovano informazioni, ma nessuna formazione. Non vivano perciò in un mondo iPhone, dove la protesta attuale è un clic, un like o un I don’t like; il nostro è un mondo vero, non un mondo Facebook. Perciò si appassionino a dei progetti e credano di poterli realizzare, di poter migliorare la realtà, superando lo spaesamento, la paura del futuro, l’incapacità di ripristinare riferimenti solidi al posto di quelli consumati dalla crisi.
Quindi, per tornare a noi, se “Palazzo Tenta” non riesce a coinvolgere i giovani, mi sembra chiaro che questi non lo ritengono ancora uno strumento adeguato ad esprimere le loro necessità. Gramsci, nel Quaderno 11, scriveva: “Non si può sapere senza comprendere”. E’ possibile che un senso cinico stia sostituendo il senso civico. Forse aveva ragione Primo Levi quando diceva che i giovani ignorano l’ambiguità e la complessità, perché la loro esperienza del mondo è ancora povera. Allo stato attuale delle cose non sono in grado di dire come andrà a finire.
Da Martellago (VE) continua a seguirci attraverso il Sito Web. Che impressione ne trae del paese e delle sue dinamiche interne?
Leggo con molto interesse le notizie che si avvicendano nel Sito. Mi avvicino con esitazione a interpretare le dinamiche interne della vita paesana: in primo luogo perché –non vivendo a Bagnoli- le notizie le vivo con grande difficoltà di giudizio; poi perché –è questa una mia impressione- esse sono spesso coperte da spessi veli di ipocrisia e faziosità in un microcosmo spugnoso. Comunque ho letto l’ultima edizione di “Fuori dalla Rete” (13 agosto 2017) e ne ho ricavato una convinzione: articoli coraggiosi di denuncia che però si accompagna anche a proposte interessanti che sollecitano svolte coraggiose e nuove iniziative. Un invito all’intraprendenza e allo spirito di squadra. Necessarissimi in questo momento di crisi ma anche di rinascita possibile. Per parte mia ho sempre avuto un forte senso della spiritualità: prima in senso religioso, ora come etica di vita. Se vuoi qualcosa, devi investire su te stesso, senza cercare scorciatoie. Evitare quindi le facili insofferenze, la demagogia e l’inconcludenza. Più banalmente, continuare a fare il proprio dovere senza aspettarsi riconoscimenti. La mia visione è molto personale, forse anche antica; magari fra poco tempo queste mie parole saranno davvero anacronistiche.
Quale giudizio dà ai protagonisti della vita politica e, più in generale, ai partiti politici presenti (?!?!) a Bagnoli?
Mi sottraggo in parte alla domanda. I partiti politici che nel secondo Novecento hanno guidato l’Italia, dal governo e dall’opposizione, l’hanno risollevata dalle distruzioni della guerra perduta e hanno contribuito a farla diventare una media potenza europea. Quei partiti non esistono più. E soprattutto a livello locale, dappertutto, si avvertono i segni di una situazione scompaginata e disordinata. E l’onanismo tecnologico (ognuno che fa per sé davanti al suo video) peggiora la situazione. Forse aveva ragione la buonanima di Umberto Eco quando scriveva che “Facebook e Twitter danno la parola a legioni di imbecilli che non si vergognano della loro ignoranza”. Mi piacerebbe molto che i partiti per i quali votiamo disponessero di esperti e centri studi capaci di analizzare problemi complessi, proporre soluzioni, studiare e scrivere meglio le leggi, se necessario aprire conflitti e sviluppare fra la gente grandi campagne di riflessione sui temi più scottanti. Ma non sono ottimista. C’è una conflittualità politica altissima e inconcludente, una paralisi istituzionale molto preoccupante, becerismo, mistificazioni, piagnisteo continuo, scarso approfondimento, una sorta di schizofrenia di massa: cento urla, fucilazioni l’uno contro l’altro, tutti che si insultano, schiumano odio, zero soluzioni.
Per concludere, Le chiediamo di fare, come dire, “il professore”. Le diamo idealmente una matita rossa e blu. Provi a dare un voto sincero all’associazione “Palazzo Tenta 39” e ai suoi protagonisti di questi (primi) 10 anni.
Non uso matite. Come professore, il mio obiettivo è sempre stato di far sì che i miei studenti uscissero dall’aula sentendosi più intelligenti di prima di esservi entrati, vale a dire consapevoli di problemi di cui non supponevano l’esistenza e di soluzioni -meglio, di ipotesi- che non avrebbero mai immaginato di poter proporre. Comunque, ho già risposto in parte a questa domanda. Lo ripeto. Le persone, generosissime, che hanno assunto posizioni di responsabilità in questi anni hanno avuto grandissimi meriti: si sono impegnate a far sopravvivere il Circolo in tempi difficili, hanno tenuto in vita e rivitalizzato il Sito Web, fino a festeggiare –di recente- il milionesimo contatto. Auguri vivissimi.
Gennaro Cucciniello