La salsa di pesce dell’antica Roma
Olio, vino e “garum”, il condimento popolare che mangiava Trimalcione nel “Satyricon” di Petronio: ecco che cosa custodivano quattordici anfore trovate a Pompei.
Nel “Corriere della Sera” di domenica 26 novembre 2017, a pag. 25, è stato pubblicato un articolo di Paolo Conti sul ritrovamento, a Pompei, di anfore intatte e ancora sommerse dai lapilli dell’eruzione del 79 d. C.
Un altro tassello nella storia infinita di Pompei: “Possiamo ragionevolmente supporre che queste anfore facessero parte di un deposito di cibi e bevande custodito nella dispensa utilizzata per le riunioni conviviali di questa associazione di militari…”. Un catering del I° secolo dopo Cristo, insomma. Massimo Osanna, direttore del Parco Archeologico di Pompei, è entusiasta: “Nello stesso luogo del famoso crollo del novembre 2010 gli scavi ci regalano una novità di grande interesse. E’ un autentico segnale di rinascita. Sono 14 anfore ancora sommerse dai lapilli dell’eruzione del 79 d. C., sono intatte. Non vennero raggiunte dallo scavo che qui fece Vittorio Spinazzola nel 1915. L’ambiente venne anche trasformato dopo il terremoto del 63, sono visibili interventi di ristrutturazione, un muro appare ancora grezzo”.
La notizia è di pochi giorni fa. Nei tre ambienti alle spalle della Schola, in cui il solaio in cemento armato del 1947 cedette nel 2010 dopo giorni di pioggia –finendo sulle prime pagine dei giornali di mezzo mondo col titolo “Pompei crolla”– sono state ritrovate intatte 14 anfore bifore, cioè con due manici, che contenevano olio, vino e garum, il condimento amatissimo dai Romani a base di pesce conservato, citato da Apicio in “De re coquinaria”, da Plinio il Vecchio in “Naturalis Historia”, da Petronio nella cena di Trimalcione in “Satyricon”.
Quelle anfore aggiungeranno nuovi dettagli per conoscere meglio i gusti alimentari dei Romani. Spiega Luana Toniolo, archeologa della segreteria tecnica del Progetto Pompei: “Sono anfore di un assemblaggio tipico di quegli anni. In gran parte sono di origine locale ma c’è un’anfora vinaria della Sicilia, non molto comune in quel periodo. E poi una di “garum” arrivata dalla Spagna meridionale, dal golfo di Cadice: un’iscrizione riporta il tipo di salsa, il pesce usato, il nome del produttore, il peso dell’anfora vuota. Le anfore riguardano vino locale, siciliano o proveniente dal Mediterraneo Orientale”.
Conservano ancora una parte o tracce del contenuto? “Non possiamo saperlo, gli scavi stanno continuando. Comunque sottoporremo i reperti alla gascromatografia, esame che può svelare anche le sostanze assorbite dalla terracotta”. Come dice Osanna, “si è sempre discusso su cosa fosse in realtà questo ambiente”. Ma ora il ritrovamento della dispensa sembra confermare l’ipotesi prevalente che la Schola Armatorarum fosse una sorta di associazione di militari che qui avevano la loro palestra e il loro luogo d’incontro. La sera, sembra di capire grazie a queste anfore, si beveva e si mangiava, magari dopo gli allenamenti.
I reperti archeologici legati alla vita comune, inclusi i rifiuti, sono fondamentali per capire una civiltà. Lo afferma da mezzo secolo l’archeologo Andrea Carandini, oggi presidente del Fai, Fondo Ambiente Italiano. “Il mio primo scavo di un immondezzaio risale al 1967, alle Terme del Nuotatore di Ostia Antica. I reperti legati alle abitudini di ogni giorno sono essenziali. Queste 14 anfore di Pompei, così sappiamo, conservavano vino, olio e garum. Il vino sappiamo ancora oggi a cosa serva. L’olio, per i Romani, non era solo condimento o base di cibi ma era usato per l’illuminazione e per la cura del corpo. Un bene, insomma, di uso trasversale. Il garum, la salsa di pesce in conserva, era il cibo col quale la gente comune si nutriva di proteine. Oggi usiamo le lattine, allora c’erano le anfore. Sono state scoperte negli anni molte fabbriche di garum nel bacino del Mediterraneo. Ed è bello ogni volta trovare la conferma di come i Romani avessero messo a punto un sistema di spremitura dell’olio e del vino, col torchio a vite senza fine, usato anche in Italia o in Spagna fino a dopo la seconda guerra mondiale. Ho visto bellissimi esemplari del 1600 a Maiorca, usati fino a pochi decenni fa, che mi aiutarono a capire quelli trovati negli scavi della villa di Settefinestre in Toscana”. I Romani, nostri contemporanei.
Gli antichi romani facevano tre pasti principali al giorno: jentaculum, prandium, coena. La colazione era a base di pane, formaggio, latte, miele, vino e frutta secca. Il pranzo era a base di pesce, pane, frutta, legumi e vino. La cena cominciava nel tardo pomeriggio e si protraeva fino all’alba. Non mancavano mai olio per condire i pasti, vino e garum.
Paolo Conti