Niccolò Machiavelli. La catastrofe italiana.
Il grande pensatore politico. Le radici storiche della crisi attuale in Italia. Massimo Cacciari ed Ernesto Galli della Loggia discutono con Alberto Asor Rosa del suo libro.
Nell’”Espresso” del 24 marzo 2019 è pubblicato il vivace dialogo, curato da Leopoldo Fabiani, alle pp. 52-56, tra gli intellettuali citati. In questi mesi sono usciti nelle librerie diversi saggi su Machiavelli, autore studiato appassionatamente anche da De Sanctis, Croce, Gramsci, soprattutto perché nella sua epoca –i primi trenta anni del Cinquecento- si può trovare il tragico incubatore negativo dell’Italia futura. Oggi i barbari, i distruttori della nostra secolare civiltà, non vengono più da fuori: nascono in mezzo a noi. Sulla straordinaria scelta linguistica del Segretario fiorentino si può consultare l’ampio capitolo a lui dedicato nel saggio di Giuseppe Patota, “La grande bellezza dell’italiano. Il Rinascimento”, Laterza. Carlo Ginzburg, nel suo “Nondimanco. Machiavelli, Pascal” (Adelphi), registra il cambio di paradigma su Machiavelli, soprattutto nei paesi di lingua inglese. Michele Ciliberto, in “Machiavelli. Religione e pazzia”, Laterza, sottolinea la sua visionarietà, la sua capacità di sporgersi oltre i canoni correnti e di proporre soluzioni eccessive, straordinarie, imprevedibili: lampi di sana follia. Infine, Alberto Asor Rosa (del cui saggio qui si discute), introducendo il suo “Machiavelli e l’Italia”, Einaudi, può cercare nell’Italia tra Quattro e Cinquecento “il tragico incubatore negativo di quella futura (mai una ricchezza, culturale, artistica, ideale, politica, immaginativa di così grandi dimensioni fu la premessa di una catastrofe altrettanto impressionante”).
Gennaro Cucciniello
Torna Niccolò Machiavelli (se mai se ne era andato). Non può essere solo una coincidenza casuale se diversi studiosi del calibro di Alberto Asor Rosa, Michele Ciliberto, Carlo Ginzburg, che sul Segretario fiorentino lavorano da decenni, hanno deciso di uscire con nuovi libri sull’argomento nel giro di pochi mesi. In tempi di afasia della politica, di incertezza sul futuro, di disorientamento nell’interpretare il presente, quasi d’istinto ci si rivolge a interrogare le sue opere.
Al centro del libro di Asor Rosa, “Machiavelli e l’Italia” (sottotitolo: “Resoconto di una disfatta”), Einaudi, la sconfitta italiana di inizio ‘500. La penisola divisa in staterelli, oggetto di conquista degli Stati europei, percorsa dagli eserciti di Francia e Spagna, fino al sacco di Roma del 1527. E i disperati tentativi machiavelliani per trovare un rimedio. Da lì ha inizio una “catastrofe di lunga durata” che stende la sua ombra lunga fino ai giorni nostri. L’Espresso ha pensato di chiamare a discutere di questi temi, oltre allo stesso Asor Rosa, Massimo Cacciari e Ernesto Galli della Loggia. Tre importanti studiosi, ma anche polemisti di razza, che hanno dato vita a un dibattito vivacissimo sul più importante pensatore politico italiano e sulla crisi di oggi.
L’Espresso. Ha detto Carlo Ginzburg: “La cosa stupefacente di Machiavelli è che più lo collochiamo nel suo contesto storico, più ci parla”. Ecco, potremmo cominciare da qui: cosa dice oggi a noi Machiavelli?
Galli. Non condivido questa premessa. Machiavelli naturalmente è un grandissimo, ma ho sempre trovato un eccesso della sua presenza nella tradizione culturale italiana. La questione principale che ha lasciato in eredità, l’esigenza di un “principe nuovo” che fondi in Italia lo Stato su “armi proprie”, si è esaurita nel 1870. Il principe nuovo era il conte di Cavour e le armi proprie erano quelle, sia pure un po’ rabberciate, dell’esercito piemontese. Si conclude così il problema dell’unità italiana, vale a dire dotare la nazione di una “statualità” paragonabile con quella degli altri paesi europei. Anche se poi da lì inizia un’altra serie di problemi. Come scrive Francesco De Sanctis: “Mentre scrivo queste pagine suonano le campane che annunciano l’entrata dei bersaglieri a Roma… Si è realizzato il sogno di Machiavelli”.
Certo, rimane il mito di Machiavelli. Vale a dire quel mito della ipercentralità della politica che ha conquistato tutta l’intellettualità italiana fino quasi ai giorni nostri. Il mito del “principe nuovo” che si ripropone in tante forme, con Gramsci, ma non solo.
Ma mi sembra molto importante riflettere anche su Asor Rosa, un grande intellettuale che ha esordito nella scena pubblica su posizioni antagoniste (penso alla rivista Quaderni rossi, all’operaismo) estranee completamente alla questione della statualità italiana. E che dopo un lungo, importante, itinerario arriva oggi ad accenti genuinamente nazionali, in qualche caso persino nazionalistici. Trovo nel libro persino l’espressione “stirpe italiana”.
Cacciari. La mia è una lettura diversa. Non mi pare che l’interpretazione di Asor Rosa permetta di ritenere conclusa la vicenda di Machiavelli nel 1870. Ma prima di tutto bisogna dire che Machiavelli appartiene a un orizzonte più generale di pensiero filosofico-politico. Un orizzonte fondamentale per capire il moderno e il contemporaneo. Lo stesso di Hobbes e Spinoza. Che riassumo così. L’esserci è volontà di potenza. Ogni esistente vuole il potere al massimo grado delle sue possibilità. Per Machiavelli, la volontà di potenza è politica. Il potere è politico. Egli è totus politicus. Il potere sono le armi, lo Stato, ma non solo, come spiega Asor Rosa. Combina all’elemento del Principe (la forza) un elemento democratico. Machiavelli è repubblicano. E vede già i germi della disfatta all’interno del Comune, non in generale, ma del Comune mediceo. E’ un conflitto drammatico, quello tra la situazione del Comune mediceo e gli ideali repubblicani, già presente negli umanisti del ‘400.
Galli. Scusa, ma gli ideali repubblicani sono nei “Discorsi sulla prima deca di Tito Livio”, non nel “Principe”.
Cacciari. Anche nel “Principe”, dove è centrale il problema del consenso. E della virtù. Che porta a un’altra questione fondamentale, nella lettura di Asor Rosa come nel libro appena uscito di Ciliberto. Il rapporto con Savonarola. E cioè della necessità di un’autorità spirituale per fondare gli Stati. Poi certo a Machiavelli non piace come Savonarola realizza questa necessità, ma non c’è dubbio che per lui è fondamentale. E infatti quando parla dei fondatori di Stati, ricorre a figure mitologiche. Il mito è fondativo dello Stato. Virtù, ideali repubblicani, autorità spirituale. Tutte questioni che non si chiudono affatto nel 1870. La catastrofe italiana di lunga durata non è nella ritardata unità, ma nell’assenza di quegli elementi fondamentali. L’Italia, come Firenze, è un paese di nuovo diviso in sette, in fazioni. E invece il conflitto sociale, tra patrizi e plebei, ha fatto grande la Repubblica romana. Perché è ordinato, si svolge all’interno di una legge. Religio civilis e ordine, questi sono impossibili nell’Italia di Machiavelli. Per renderli possibili, dice, ci vuole una “pazzia”. La mia proposta, andare alla ricerca di un principe italiano è questo, qualcosa di eccessivo. E’ tutto ciò a farne un grande pensatore europeo.
Galli. Ma secondo te, lo Stato liberale, con Cavour, non è una “sistemazione ordinata” del conflitto?
Cacciari. Direi piuttosto con Giolitti. Ma anche quella è una soluzione debole.
Asor Rosa. Così debole che finisce in malora. Io però vorrei tornare alla sollecitazione iniziale. E spiegare come e perché ho pensato di riflettere su Machiavelli, e perché proprio ora. La spinta nasce, dopo le celebrazioni per il cinquecentenario del Principe nel 2013-2014, da una proiezione delle condizioni storiche in cui nasce il Principe su quelle in cui stiamo attualmente vivendo. Senza analogie forzate, ma per tentare di capire meglio. Machiavelli dunque è un signore che sta profondamente confitto nella realtà del suo tempo e ricava anche le più elevate teorizzazioni politiche da un’esperienza profondamente vissuta. Machiavelli è uno sconfitto. Arriva a elaborare una teoria sull’Italia, e poi sul governo, sulla politica, da un’esperienza di sconfitta, che poi diventa una disfatta e poi una catastrofe. E’ difficile sottacere questo aspetto, anche per capire la sua scelta del Principato. Le sue sono idee repubblicane, democratiche. Ma il Principato è l’unica strada, non ce ne sono altre. E Machiavelli coraggiosamente la imbocca.
Cacciari. E’ chiaro. Ci sono Francia e Spagna, o fai anche tu lo Stato, o sei morto. Aut-aut, L’aspetto filosoficamente più importante di questo libro è aver sottolineato la logica dilemmatica, anti-hegeliana, del ragionamento di Machiavelli.
Asor Rosa. Vorrei tornare su una questione aperta da Galli della Loggia. Tu dici che con il 1870 si chiude il problema della statualità italiana. Io sostengo che questa statualità entra subito in crisi, producendo effetti catastrofici. Nessun traguardo raggiunto, ma una prosecuzione della crisi italiana.
Galli. Non sono per nulla d’accordo. La performance dello Stato italiano è stata straordinaria. Se qualcuno nel 1861 avesse detto a Cavour che un secolo dopo l’Italia sarebbe stata una delle prime cinque economie del mondo, come è avvenuto negli anni ’70 e ’80 del Novecento, lui l’avrebbe preso per pazzo. Il ‘900 italiano è stata una storia di straordinario successo. Un paese di miserabili, senza materie prime, è diventato quello che è diventato…
Asor Rosa. Due guerre mondiali…
Galli. Una vinta! E contro l’impero austroungarico che prima occupava una parte del paese…
Asor Rosa. Il fascismo…
Galli. Una terribile catastrofe, ma non autorizza a etichettare come negatività tutta l’esperienza dello Stato italiano. La Germania ha avuto il nazismo, la Francia Vichy, smettiamo di dire che solo l’Italia ha avuto delle contraddizioni. Ognuno ha avuto le sue.
Cacciari. Insisto nel dire che il discorso sulla catastrofe di lunga durata non riguarda questi aspetti. Ma altri più di fondo.
Galli. L’antropologia italiana?
Cacciari. Certo. E’ il “Discorso sul carattere degli italiani” di Leopardi, la “Storia della colonna infame” di Manzoni. E riguarda Machiavelli. Leggi la “Mandragola”. L’Italia è diversa dagli altri perché le manca la Religio civilis, l’autorità spirituale e morale. Che negli altri paesi invece è ben presente. Lo hai scritto più volte anche tu.
Galli. Insomma, secondo te, Machiavelli sarebbe stato il Lutero italiano, fautore di una riforma morale e religiosa?
Cacciari. Se solo fosse stato interessato ai temi teologici, di cui invece si infischiava. Vedeva la religiosità come fatto laico, civile appunto.
Asor. Se avessi sottomano i “Discorsi” vi citerei i passi dove si spiega come Numa Pompilio, con l’elemento religioso, abbia appunto fondato lo Stato romano dopo Romolo, impedendogli di precipitare nel caos della violenza primitiva.
Cacciari. Il film “Il primo re” parla proprio di questo.
Asor. E poi, prosegue Machiavelli, i cattivi preti della sua epoca hanno dimenticato questo aspetto, svalutando, proprio loro, la religione. Principale responsabile della crisi italiana è la Chiesa di Roma, che ha spento nei cuori lo spirito religioso, la virtù.
Galli. Ma perché solo qui e non, per esempio, nella cattolicissima Austria? Perché altrove c’è uno Stato a fare da contraltare.
Asor. Ma anche perché la Curia romana è proprio qui, a due passi da casa mia.
Galli. C’è un capitolo del libro su Manzoni e Ippolito Nievo. Che nel “Frammento sulla rivoluzione nazionale” sostiene che il Risorgimento, senza la partecipazione dei cattolici, non della Chiesa, dei cattolici, sarebbe stato destinato al fallimento. Un tema che la tradizione machiavelliana ha del tutto ignorato.
Asor. C’è stato un momento, il 1848, in cui si è sostenuto che il Risorgimento era affare che riguardava tutti gli italiani, cattolici compresi. Poi la Chiesa, sempre lei, si è schierata con la parte avversa. E posizioni come quelle di Manzoni diventano del tutto minoritarie. “I promessi sposi” è un romanzo fortemente unitario. Manzoni mantiene un grande equilibrio, va in Senato a votare a favore di Roma capitale.
Galli. Scrive che è il più bel giorno della sua vita.
Cacciari. Vorrei dire anche che Machiavelli, con tutta la sua indifferenza religiosa e le critiche alla Chiesa, a un certo punto intravede la possibilità che sia il papa a poter assumere la funzione del principe nuovo. E diventa subito papista, si fa guelfo, se necessario. C’è in questo la consapevolezza di quanto in politica sia necessaria la dissimulazione. Nel suo pensiero è sempre presente la maschera, l’elemento teatrale, dove il tragico e il comico sono sempre insieme. Stiamo parlando di un grande pensatore. Spinoza lo teneva sul comodino.
L’Espresso. A conclusione del suo libro, Asor Rosa sostiene che la grande catastrofe italiana coinvolge il Risorgimento, la Resistenza, e poi la caduta della repubblica dei partiti, fino a dire che oggi i barbari sono dappertutto e che l’onda lunga arriva fino a noi.
Asor. E’ un tema sul quale insisto molto. Nell’ultima fase della nostra storia, che secondo me parte dalla crisi dei grandi partiti, tutti quegli elementi di disunione di cui abbiamo parlato si sono accentuati in maniera molto pericolosa. E le capacità di reagire, sul piano politico come su quello civile, mi sembrano molto indebolite. L’elemento barbarico, estraneo alla tradizione civile e politica italiana, non viene più da fuori, nasce fra di noi. Non c’è bisogno di fare esempi. Sarebbe necessario un ragionamento politico di grande portata. Ma non vedo chi sia in grado di farlo.
Cacciari. L’importanza di questo libro, come degli altri che sono usciti di recente, è proprio la riflessione sul passato in connessione col presente. Nella crisi di allora c’erano personaggi come Machiavelli che reagivano producendo grandi idee. E nella crisi di oggi abbiamo bisogno di un grande progetto politico. Fallirà? Ma è necessario. “Naufragium feci, bene navigavi”. Ho fatto naufragio, ma ho navigato bene.
Galli. Quando attorno a noi tutto crolla, ci viene naturale rivolgerci alla tradizione culturale italiana. Però, lo confesso, io oggi la sento muta. E credo che dobbiamo vedere la crisi italiana in un tempo più lungo, ben oltre Mani Pulite. Dobbiamo tornare più indietro, al 1945 e alla Resistenza. Da un punto di vista machiavelliano, la libertà dall’occupazione straniera non viene riacquistata con armi proprie. Bensì grazie agli eserciti degli alleati che hanno sconfitto i nazisti e i fascisti. La Resistenza, i partigiani, da soli, non sarebbero stati sufficienti. E questo ha significato una drammatica carenza di sovranità, che si è protratta nei decenni successivi. Se avete letto i termini del Trattato di pace del 1947, è chiarissimo.
Cacciari. Senza dubbio, la Repubblica italiana liberata dagli alleati e poi dentro l’Alleanza Atlantica, non ha una potenza propria. Ma, ripeto, mi pare ancora più decisiva l’assenza di una religione civile condivisa. Dunque non c’è nemmeno virtù.
Asor. Non sono d’accordo con voi. Certo, ci sono gli alleati. Ma c’è anche una tradizione ideale, a lungo sommersa, che riemerge con le armi in pugno. E dalla Resistenza nasce la Costituzione. Questo è un nesso necessario, diretto. E innegabile.