Pensieri disincantati

Questo è il testo d’una lettera che il 31 ottobre 2009 ho inviato al presidente del circolo culturale “Palazzo Tenta 39” di Bagnoli Irpino (AV) affinché venisse pubblicata sul Sito dell’associazione. Erano state pubblicate lettere che, con linguaggio a dir poco volgare, polemizzavano con taluni orientamenti del circolo dei quali io ero accusato di essere stato, con altri, tra gli ispiratori. Le critiche non citavano le fonti né indicavano bibliografie. Per quanto ne so, di norma in un paese civile non è distribuito un farmaco se è privo di un’adeguata documentazione riguardante gli effetti derivanti dall’uso; con un minimo di buon senso si pretenderebbe che il fornitore sia un’azienda specializzata e di comprovata esperienza e, soprattutto, che il prodotto messo in circolazione abbia superato selettive prove sperimentali. Viceversa, quando si tratta di un argomento storico, si ritiene –per ignoranza o presunzione o per entrambe- che chiunque sia legittimato a dire la sua, senza alcun obbligo di fornire una documentazione controllabile delle fonti di riferimento e della metodologia seguita. E’ un’idea rozza della ricerca storica, ritenuta un campo nel quale qualunque improvvisazione è consentita, qualunque baggianata o cialtroneria può essere detta o scritta, senza alcun obbligo di rigore né di verificabilità. Per finire, vorrei sottolineare un dato: Alfonso Nigro, in un suo articolo pubblicato sul sito il 13 dicembre 2009, mi ha dato simpaticamente  del “pazzo visionario” per aver sostenuto che “nel Circolo dalla differenza e dal contrappunto sarebbe nata l’armonia”. E’ vero: ho creduto sul serio, illuministicamente, che a Bagnoli sarebbe stato possibile, e molto utile, un confronto rispettoso e approfondito tra idee e personalità diverse; mi sono sbagliato e mi dispiace. Ma è pur vero che nella lettera scritta nei primi giorni di gennaio 2008, in occasione della nascita dell’Associazione, “Significato e funzioni del Circolo”, alla fine –dopo aver citato il mito ovidiano nel quale la regina Altea uccide, per deliberata vendetta, il figlio Meleagro- scrivevo: “Così finisce la nostra tristissima storia: una metafora di guerra familiare e intestina, che dovrebbe invitarci alla meditazione; chissà se questo mito ha un significato leggibile da tutti noi, ma mi è piaciuto raccontarvelo (…) anche solo per constatare l’infinita vanità del tutto”.

 

Pensieri disincantati

Non nascondo di provare disagio e imbarazzo quando leggo una lettera come quella pubblicata sul sito il 29 ottobre scorso. In sintesi vi si dice che nei due anni trascorsi le conferenze di carattere storico-cuIturale organizzate dal Circolo “Palazzo Tenta 39” hanno risentito smaccatamente di una tendenza volta a interpretare la storia di Bagnoli “da un punto di vista di sinistra, comunista, rivoIuzionario” e che non si è fatto alcuno sforzo “per costruire una storia condivisa, che dia il vero riconoscimento a chi lo merita”.

Ricordo a tutti noi che il Circolo è nato anche per consentire alle varie opinioni e correnti culturali, presenti nel paese, il diritto di testimonianza e di approfondimento dei diversi temi ritenuti importanti o prioritari, con la più grande libertà di scelta e di ricerca. Ne hanno fatto fede, nel 2008, le conferenze di Antonio Cella e del parroco don Stefano, mia e del prof. Michele Nigro, l’ampia ricerca del compianto prof. Gino Parenti proprio sul complesso conventuale di S. Domenico, impostate con serietà di intenti, diversità di valutazioni, vario corredo storiografico e bibliografico. E’ un bene inestimabile la discussione franca, svolta in modo aperto, con argomenti precisi e il più possibile razionali, lottando sempre per la verità e soprattutto senza astio personale, assumendosi ognuno le proprie responsabilità: parlando a cristiani, penso che davvero occorra tornare alla franchezza di rapporti e di parole tipica della Chiesa apostolica dei primi secoli.

Voglio ripetermi: in un lavoro di ricerca bisogna dichiarare con chiarezza la metodologia seguita, le fonti di informazione che sono state usate, il dibattito storico e culturale nel quale ci si è inseriti. E’ importante che chi indaga tenga sempre a mente di dover rispondere a semplici quesiti: chi è il protagonista di un fatto, cosa è veramente avvenuto, quando e dove (il tempo e lo spazio), con quali modalità, per quali ragioni, con quali conseguenze. Con la coscienza che la storiografia, quando ha valore civile, non consola bensì pone domande. Ho già sottolineato che in ogni studio sono fondamentali le domande che ci si rivolge, perché le risposte a cui si perviene inevitabilmente proporranno altre e più suggestive domande a cui si cercherà ancora di rispondere, in una catena inesauribile e sempre nuova di problemi e interrogativi. Questi sono i binari sui quali si sviluppa un dibattito culturale serio.

Ora è quanto meno curioso che si rimproveri a “persone saccenti e presuntuose, comuniste” di scegliere quali protagonisti delle loro narrazioni taluni avvenimenti e personaggi e di trascurarne altri. Si è reso conto il nostro autore di aver usato nella sua lettera per ben 14 volte le locuzioni “sinistra, comunista, riformatore, rivoluzionario”? Sembra un’ossessione, quasi un’eco delle famose e ripetute invettive “berluschine”.

Un saggio del secolo scorso ci ricordò molti anni addietro che era bello “quando cento scuole fiorivano e mille fiori sbocciavano“. Si facciano avanti gli interpreti delle più varie tendenze storiografiche, scrivano, ricerchino, studino, producano, esprimano la ricchezza e la varietà delle opinioni: una storia è condivisa quando le passioni e le valutazioni si confrontano liberamente. E allora, coraggio: intellettuali cosiddetti “tradizionalisti“, fatevi avanti, esponete i vostri documentati punti di vista, combattete culturalmente le vostre battaglie, evitate di produrre soltanto qualche stitico e risentito boicottaggio del lavoro altrui. Ma, per favore e soprattutto, evitate I’insensatezza di parlare di “comunismo” quando si affrontano analisi di fatti e tendenze del XVII e XVIII secolo e non mescolate la fede religiosa, il bisogno di consolazioni del trascendente quando con la ragione umana investigate il rincorrersi tragico degli avvenimenti che rendono gli uomini più o meno infelici. Se foste entrati qualche volta in una libreria, ora potreste fare qualche conferenza impegnativa senza essere costretti a passarvela da censori, spesso per giunta da censori somari. Gli inquisitori, almeno, parlavano bene il latino.

L’Associazione “Palazzo Tenta” ha fallito o sta fallendo gli obiettivi per i quali era nata: ma questo sta avvenendo perché non si è riusciti a costruire gruppi di lavoro che -su temi definiti- portassero avanti, con strutture permanenti e un’organizzazione capillare, con responsabili di settore, le ricerche indispensabili e lo studio disciplinato per impostare metodologie, sviluppare entusiasmo, allargare le forze, convogliare energie, tessere una rete di contatti che andasse al di là del singolo paese e collegasse entità omogenee di un più vasto territorio. Da questo punto di vista mi è sembrato molto felice il tentativo, riuscito, fatto dai proff. Aniello Russo e Maria Varricchio, di collaborare insieme per rendere protagoniste dell’ultima conferenza, quella sui “poeti bagnolesi”, le ragazze di scuola media: è stato un bellissimo esempio di dialogo e di lavoro comune, di compenetrazione – come è stato detto- tra scuola e società civile. Se non si fa questo, la conferenza, qualsiasi conferenza, resta superficiale occasione di incontro, trascurabile e subito dimenticata: non diventa semina utile e fruttuosa. La comunità bagnolese, forse, non ha bisogno di associazioni culturali: troverà, spero, altre strade per crescere e diventare pienamente cosciente di sé.

Gennaro Cucciniello

Bagnoli, 31 ottobre 2009

** In una notazione polemica successiva è stato fatto notare che il neologismo da me coniato, berluschine”, riferito alle violenti invettive che Silvio Berlusconi lancia, un giorno sì e l’altro pure, contro i suoi oppositori politici era un insulto inaccettabile perché rivolto con ironia contro un’importante carica istituzionale dello Stato. I miei amabili critici, nel loro entusiasmo fideistico e anche un po’ cortigiano, hanno sorvolato con superficialità sul fatto che lo stesso Berlusconi ha più volte, pubblicamente e con risalto, chiamato “coglioni” tutti quei cittadini italiani (e sono tanti, la maggioranza!) che non hanno ritenuto opportuno votare per lui, e definito “malati di mente” quei magistrati che applicano il dettato costituzionale.