Robespierre e Danton. Fraternité e fratricidio.
Il sodalizio tra i due rivoluzionari si concluse 230 anni fa nel sangue.
Ne “Il Venerdì di Repubblica” del 29 marzo 2024 è pubblicato un articolo di Marco Cicala sull’amicizia tra Danton e Robespierre.
Nel febbraio del 1793 Robespierre gli dichiarava tutto il suo amore, sconfinato e imperituro. Poco più di un anno dopo lo inviava al patibolo. La morte di Danton ha ispirato pièce teatrali (una per tutte il capolavoro di Georg Buchner), romanzi, film. Perché fu un dramma politico con risvolti archetipici da tragedia antica. Fraternité e fratricidio.
“Tutto sembrava unirli. Erano avvocati e membri della piccola borghesia di provincia. Entrambi rivoluzionari, patrioti, democratici, repubblicani… Stessi amici, stessi rivali…”, eppure “nello stretto corteo della Rivoluzione francese non c’era posto per due soldati della libertà… uno dei due era di troppo”, scrive lo storico Loris Chavanette in apertura del suo “Danton et Robespierre. Le choc de la Révolution”, biografia incrociata di due leader complementari e opposti. E’ uscita nel 2021, ora viene riproposta in versione arricchita nonché economica (Alpha éditions). Se ci è permesso di caldeggiarne una traduzione italiana, ecco fatto.
Intanto incontriamo l’autore a 230 anni da quel sinistro 1794 in cui la Grande Rivoluzione si auto decapitò: il 5 aprile (16 germinale) cade la testa di Danton; il 28 luglio (10 termidoro) tocca a Robespierre. Ma retrocediamo all’anno precedente, l’ancor più terribile ’93, che il 21 gennaio (2 piovoso) si era aperto con la messa a morte di re Luigi XVI. Tre settimane più tardi, Georges Danton sta rientrando a Parigi da una missione politico-militare in Belgio quando apprende che l’amata consorte Gabrielle è morta di parto e il nascituro con lei. Distrutto, il rivoluzionario fa aprire la tomba per baciare la moglie un’ultima volta e permettere di realizzare un calco del suo volto, oggi conservato al museo Saint-Loup di Troyes. Nel frattempo ha ricevuto una lettera in cui il collega Maximilien Robespierre non si limita alle condoglianze di rito: “Ti voglio bene più che mai e fino alla morte. In questo momento provo quello che provi tu. Non chiudere il tuo cuore agli accenti dell’amicizia che soffre tutta la tua pena” gli scrive. Per poi subito convertire lo strazio in carburante rivoluzionario: “Piangiamo insieme i nostri amici; e facciamo sentire presto gli effetti del nostro dolore profondo ai tiranni che sono i responsabili delle nostre sventure pubbliche e delle nostre sventure private”.
Quella del 15 febbraio 1793 “è l’unica lettera di Robespierre a Danton della quale attualmente disponiamo” spiega Chavanette. Con qualche rimpianto. L’anno scorso infatti la missiva, nota soltanto agli specialisti, è stata venduta all’asta per 218mila euro. Malgrado gli appelli dello studioso, non c’è stato modo di farla acquistare dallo Stato: se l’è aggiudicata un privato, “un collezionista che vive nell’Ile-de-France e che speriamo accetterà di esporla in qualche mostra”. Nell’oceanica bibliografia sulla Rivoluzione francese l’originalità del libro di Chavanette risiede tra l’altro nel tentativo di rendere gli illustri biografati cosa viva. Cercando, senza voyeurismi, di decifrarne gli affetti, le passioni, le concezioni della vita e della morte, come pure indagandone i corpi: colossale, inaggirabile quello di Georges; gracile, sbiadito fino all’evanescenza quello di Maximilien.
“Per afferrare chi era Robespierre bisogna chiedersi che cosa non era. Ora, ciò che egli non era, è precisamente Danton” si legge nell’introduzione. Ma che cosa ha da dirci la lettera in questione su quel tumultuoso sodalizio? “Innanzitutto ci si può vedere una sorta di identificazione. Robespierre non ebbe moglie né figli. Ma all’età di sei anni aveva perso la madre. Anche lei morta di parto senza poter far nascere il bambino. All’epoca era un fatto assolutamente comune, ma porterà Maximilien a idealizzare la figura materna. Nella lettera è come se Robespierre sovrapponesse il proprio lutto di orfano al lutto coniugale di Danton”.
Cicala. In che modo interpretare quel “Je t’aime plus que jamais et jusqu’à la mort”? Nel linguaggio epistolare del ‘700 erano frequenti simili effusioni tra maschi?
Chavanette. Sì, ma vanno anche inquadrate nella personalità di Robespierre. Danton è un sanguigno tribuno popolare, mentre l’Incorruttibile si presenta come un uomo di lettere, un fine oratore impregnato di suggestioni rousseauiane, diciamo preromantiche. Quella sensibilità prescriveva che i sentimenti non venissero nascosti, ma mostrati, se necessario fino all’esagerazione.
Cicala. E’ una forzatura ipotizzare che quel “je t’aime” esprimesse anche un’attrazione erotica?
Chavanette. E’ una forzatura se non altro perché la vita sentimentale di Robespierre resta un mistero. Sappiamo che nella città natale di Arras aveva avuto scambi amorosi con ragazze e forse, prima di venire eletto agli Stati Generali nel 1789, fu sul punto di sposarsi. Ma con il debutto in politica, e poi con l’impegno nella Rivoluzione, il versante amoroso si eclissa. Nella dedizione totalizzante alla causa rivoluzionaria la sfera affettiva sembra atrofizzarsi e l’esistenza di Robespierre diventa sempre più monastica. Sicuramente subì il carisma del travolgente Danton, che, certo, era orrendo, con un’enorme testa leonina e il volto sfregiato dal vaiolo, ma misurava oltre un metro e novanta ed era una presenza che fisicamente si imponeva. Per quanto in assoluto non la si possa escludere, un’eventuale omosessualità di Robespierre rimane una congettura. Il personaggio è per molti versi insondabile, ma credo che in quella lettera non simulasse. Era sincero quando esprimeva la propria vicinanza all’amico straziato.
Cicala. Salvo poi ributtarla in politica.
Chavanette. Il passaggio chiave della lettera è proprio quello. Robespierre “politicizza” le proprie emozioni. Per lui il miglior modo di far trionfare i sentimenti intimi è quello di debellare i nemici della Rivoluzione, i tiranni, i faziosi, i cospiratori vincolati all’Ancien Régime. Se non può riferirsi alla sfera privata è perché ne è sprovvisto. Durante l’esperienza rivoluzionaria la sua vita è interamente compresa nella dimensione pubblica. In lui pubblico e privato si fondono.
Cicala. Tutto è politica.
Chavanette. E’ uno degli aspetti che più lo distinguono da Danton. Nel corso della Rivoluzione Danton non smette di vivere, non abbandona la ricerca di una felicità privata. Ha moglie, figli, una famiglia. Senza cessare di essere un leader, ama i piaceri, il sesso, il cibo, la convivialità, gli affari…
Cicala. Il denaro gli piace a tal punto che lo accuseranno di corruzione.
Chavanette. La prova provata che sia stato corrotto non è ancora saltata fuori. Però è vero: durante la Rivoluzione Danton fa investimenti, ha un train de vie dispendioso. Come molti altri si arricchisce, in particolare comprando beni della Chiesa che sono stati nazionalizzati. Non tutti possono vivere con l’austerità di un Robespierre.
Cicala. Di fronte all’algida Virtù dell’Incorruttibile, la “corruzione” umanizza Danton.
Chavanette. Quelle opposte visioni della vita hanno anche ricadute politiche. Danton è in un certo senso più moderno di Robespierre. La democrazia moderna infatti non si è costruita sull’identificazione robespierrista tra sfera pubblica e privata, bensì sulla separazione delle due dimensioni. Ma l’idea di felicità privata imprime alla traiettoria di Danton una svolta decisiva che determinerà la sua caduta.
Cicala. In che senso?
Chavanette. Danton è stato un repubblicano, un anti-monarchico convinto prima e più di Robespierre, ma alla fine cerca una via d’uscita dall’impasse in cui la Rivoluzione è precipitata con il Terrore. Vuole moderare la violenza politica. E lo fa pensando anche in termini di futuro, posterità, discendenza. Nella gente che è spedita alla ghigliottina non vede solo controrivoluzionari, ma madri, padri, figli, famiglie distrutte.
Cicala. Eppure Danton ha approvato le prime “grandi purghe”.
Chavanette. E’ stato favorevole alla proscrizione dei Girondini, però contrario alla loro condanna a morte. In seguito condividerà con Robespierre l’eliminazione degli hébertisti, i cosiddetti “esagerati”. Ma per Danton, una volta respinto il nemico esterno, cioè la coalizione antirivoluzionaria delle monarchie europee, bisognerebbe ridurre le misure d’eccezione, il radicalismo. Nella moderazione invece Robespierre vede un cedimento che i rivoluzionari non possono permettersi senza tradire la causa. La politica di Danton si evolve, non perde di vista la realtà, mentre quella dell’Incorruttibile non muta, rimane costante, fissa nell’astrazione, nel rigorismo. Danton vuole frenare il Terrore, Robespierre intende proseguirlo.
Cicala. Nella spaccatura tra i due ci andrà di mezzo anche Camille Desmoulins, al quale erano legati entrambi.
Chavanette. Desmoulins era sodale di Danton nel club dei Cordeliers, ma con Robespierre erano stati compagni di liceo e l’Incorruttibile fu il suo testimone di nozze. Mandando Desmoulins al patibolo con Danton, Robespierre firma la morte di un vero amico. Lavorando al libro ho avuto un colpo di fortuna. Ho scoperto che gli appunti di Robespierre contro i “dantonisti” e contro Desmoulins sono stati pubblicati in versione mutilata. Albert Mathiez, il grande storico che ne curò l’edizione, avave soppresso due passaggi nei quali l’Incorruttibile attacca duramente Desmoulins con nome e cognome. Da parte del robespierrista Mathiez fu malafede o un semplice errore di trascrizione? Non lo so. Ma in quelle frasi omesse è ancora più evidente la responsabilità di Robespierre nell’esecuzione del suo amico d’infanzia. Fino all’ultimo Robespierre cercherà di evitare il processo a Danton, ma tanto quest’ultimo che Desmoulins erano estremamente popolari, e con la loro moderazione alimentavano le speranze dei detenuti nelle prigioni. Ciò li rendeva temibili. Troppo, agli occhi di Robespierre.
Cicala. Maximilien e Georges sono opposti non solo nel vivere, ma anche nel modo di affrontare la morte.
Chavanette. Sul patibolo Danton dà prova di coraggio e perfino di humour. Benché abbia le mani legate dietro la schiena, cerca di abbracciare l’amico Fabre d’Eglantine, ma il boia li separa. E Danton gli dice: “Non riuscirete a impedire che le nostre teste si abbraccino una volta cadute nella cesta”. Secondo un’altra versione avrebbe detto invece al boia: “Mostra la mia testa al popolo. Ne vale la pena”. Questa miscela di sprezzatura, morbosità, cinismo ci restituisce la magia di un’epoca nella quale i grandi slanci coabitano col sangue, e in cui la vita e la morte si stringono in un legame ambiguo.
Cicala. Robespierre, lui “fallisce” la propria morte.
Chavanette. Era animato da un’idea sacrificale, e forse sognava una fine stoica, degna di quegli antichi eroi greci o romani che venerava. Però non gli riuscirà. Non sappiamo se abbia tentato un maldestro suicidio o se a frantumargli la mascella sia stato un colpo di pistola sparato da qualcun altro. Ma arrivò sul patibolo con il mento bendato. Non poteva parlare. E quando il boia gli strappa la fasciatura lancia soltanto un grido bestiale.
Cicala. L’imparzialità di storico non le impedisce di lasciar affiorare le sue simpatie per Danton. Ma quali furono le zone d’ombra del personaggio?
Chavanette. Della corruzione abbiamo già detto. Un altro punto oscuro riguarda il suo ruolo nei massacri del settembre 1792, quando i sanculotti irrompono nelle prigioni e fanno strage di detenuti. Danton era ministro della Giustizia. Ordinò quelle violenze o si limitò a lasciar correre? Lo ignoriamo.
Marco Cicala Loris Chavanette