Scoprire nuovi mondi può dare alla testa
Il fisico Guido Tonelli ha scritto un libro sull’Universo. Per rispondere alla curiosità di tanti non addetti ai lavori. Ma anche, spiega, perché gli scienziati non vanno lasciati soli.
Tonelli ha scritto il saggio “Cercare mondi” (Rizzoli). In questa intervista, pubblicata sul “Venerdì di Repubblica” del 10 marzo 2017, alle pp. 61-63, lo scienziato risponde alle domande di Luca Fraioli.
“Chissà che visione del mondo hanno gli eventuali abitanti di altri sistemi solari, chissà cos’hanno compreso dell’Universo e se le loro conclusioni coincidono con le nostre. Sarei davvero molto curioso di scoprirlo”. Guido Tonelli ha fatto della curiosità il suo stile di vita, prima come giovane fisico delle particelle, poi come responsabile, al Cern di Ginevra, di uno dei due esperimenti che hanno portato alla scoperta del bosone di Higgs, quindi come professore all’Università di Pisa e ora anche come scrittore e divulgatore. Dopo “La nascita imperfetta delle cose”, che raccontava l’entusiasmante avventura intellettuale della caccia alla “particella di Dio”, Tonelli torna in libreria con “Cercare mondi” (Rizzoli), proprio mentre la Nasa e un team di astronomi belgi annunciano la scoperta di un piccolo sistema solare abitabile intorno alla stella Trappist-1, a 40 anni luce da noi.
Professor Tonelli, quali sono i mondi che lei sta cercando e che racconta nel suo nuovo libro?
Ho provato a rispondere alle molte domande che mi sono state poste in giro per l’Italia mentre presentavo il volume precedente. C’è un pubblico, forse piccolo ma non marginale, che s’interroga sulla nascita dell’Universo, la sua fine, le esplorazioni, su cosa ci riserva il futuro. Ho cercato di raccontare nella maniera più semplice e rigorosa possibile quello che abbiamo capito e ciò che ancora non sappiamo. Ma l’obiettivo è anche un altro: mettere queste conoscenze, con tutti i dubbi che ancora abbiamo, a disposizione della cultura in generale. Una sorta di appello: guardate che le scoperte scientifiche stanno modificando la nostra idea del mondo. Ne vogliamo discutere? Chi meglio di umanisti e filosofi ha strumenti per interloquire ed entrare nel merito?”.
E invece lo scienziato come reagisce di fronte alla possibile esistenza nel cosmo di altre forme di vita?
L’annuncio dell’altra settimana mi ha emozionato. Ma non mi ha sorpreso. Dal punto di vista statistico le probabilità che nell’Universo ci siano forme di vita intelligente simili alla nostra sono altissime: i numeri fanno davvero impressione, cento miliardi di galassie, contenenti ciascuna cento miliardi di stelle. Anche se solo una minima frazione di queste avesse sistemi solari con pianeti abitabili arriveremmo comunque a cifre molto elevate. E tuttavia la bellezza di quel mini-sistema solare intorno a una stella nana rossa mi ha lasciato a bocca aperta.
Cosa accadrà ora?
Questo tipo di ricerche subirà una grande accelerazione. Verrà lanciato il telescopio spaziale James Webbe, il passo successivo sarà identificare pianeti con l’acqua allo stato liquido e molecole organiche. Il tutto nell’arco dei prossimi cinque, dieci anni. Poi ci sarà da capire come entrare in contatto con eventuali intelligenze extraterrestri. Io stesso mi sorprendo a immaginare possibili sistemi per comunicare con loro.
Nel suo saggio racconta cosa abbiamo capito dell’Universo, della sua nascita, 14 miliardi di anni fa, fino ai possibili esiti finali. Secondo lei, un’eventuale civiltà extraterrestre arriverebbe alle stesse conclusioni?
Anzitutto va detto che non è questo il caso di Trappist-1. Quella stella ha 500 milioni di anni ed è dunque troppo giovane, in base alla nostra esperienza, perché sui suoi pianeti si sia potuta sviluppare una qualche forma di vita intelligente: da noi ci sono voluti miliardi di anni perché comparisse Homo sapiens. Ma altrove nell’Universo può essere successo. E anch’io mi chiedo: che fisica avranno concepito? Noi ci troviamo in un angolo di cosmo relativamente tranquillo e abbiamo sviluppato una scienza che lo descrive abbastanza bene, ma fatichiamo a comprendere fenomeni più esotici. Supponiamo invece che una civiltà si sia sviluppata in prossimità di due buchi neri che ruotano uno intorno all’altro increspando lo spazio-tempo: per loro le onde gravitazionali sarebbero all’ordine del giorno, mentre noi che abitiamo una regione in cui lo spazio-tempo è praticamente rigido abbiamo fatto una grande fatica per rivelarle.
Quindi la scienza che si fa dipende dal modo e dal mondo in cui ci si è evoluti?
In un certo senso sì, la scienza è la nostra visione del mondo. Noi cerchiamo di adattare le nostre strutture cerebrali a un modello che confrontiamo con gli esperimenti e via via lo adattiamo. La cosa è molto complicata: per spiegarci l’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande abbiamo dovuto ricorrere alla meccanica quantistica e alla relatività generale che sono cose che fatichiamo a capire, perché più si va a descrivere il mondo in dettaglio e più le nostre strutture mentali, che si sono sviluppate per farci muovere e sopravvivere come animali su questo pianeta, soffrono. Le leggi della fisica, poi, rispondono a una nostra esigenza di simmetria, ma io mi sono sempre chiesto: se non fossimo stati simmetrici come esseri viventi (i due lobi del cervello, il nostro volto) avremmo concepito leggi di questo tipo? Sarei curiosissimo di entrare in contatto con esseri intelligenti non simmetrici per capire che scienza hanno sviluppato loro.
Nel frattempo noi siamo arrivati a conclusioni per certi versi sconvolgenti: citando lo scrittore Haruki Murakami, lei ricorda come la scoperta del bosone di Higgs ci abbia messo ancor più di fronte al fatto che il nostro Universo è effimero. Dobbiamo preoccuparci?
Murakami spiega che i giapponesi apprezzano più degli altri la bellezza effimera delle cose perché sanno di vivere “sul nido dei terremoti”. Ebbene, ora sappiamo che è l’intero Universo a vivere sul nido dei terremoti. La stabilità del cosmo dipende dalla massa del bosone di Higgs. Quando lo abbiamo scoperto e abbiamo misurato esattamente la sua massa abbiamo compreso che l’Universo si trova in una condizione di equilibrio instabile: una delle tante catastrofi stellari che si verificano nelle galassie lontane potrebbe sviluppare energie tali da alterare questo delicato equilibrio e riportare tutto allo stadio iniziale, in cui c’era solo il vuoto. Può davvero accadere da un momento all’altro, anche durante questa intervista.
Un’ultima domanda, prima che sia troppo tardi. Lei scrive che dopo Galileo la conoscenza scientifica è cresciuta in modo esponenziale mentre la cultura umanistica ha proseguito con il suo andamento lineare. E’ un rimprovero?
Sì, ma non è rivolto solo agli umanisti. La colpa è anche di noi scienziati: abbiamo una certa tendenza a isolarci, a ragionare nel nostro ristretto cenacolo. Il risultato è che siamo percepiti come quelli che si occupano di cose tecniche, mentre le grandi questioni dell’esistenza rimangono monopolio di umanisti, filosofi e artisti. In questa divisione io non mi riconosco, anzi, sento l’urgenza di discuterne, oggi più di ieri. Perché la scienza ha raggiunto un tale livello di potenza che potrebbe persino dare alla testa: lasciare alla tecnica e alla scienza le scelte che decideranno il destino dell’umanità nei prossimi decenni e nei prossimi secoli non solo è poco saggio, ma potrebbe anche portare a conseguenze pericolose. Per questo suono un campanello d’allarme: signori, siamo proprio sicuri che se ne debbano occupare solo gli scienziati?
Luca Fraioli