Scurati: Mussolini vassallo di Hitler

Mussolini vassallo di Hitler

Scurati ha scritto il terzo volume della sua trilogia, “M”, con il racconto ancorato a una fattualità basata sulle fonti.

 

Il terzo volume di “M”, il romanzo documentario” di Antonio Scurati sulla vita di Mussolini, si apre nel maggio 1938, al momento della visita di Hitler in Italia, e si chiude nel giugno 1940, quando il Duce proclama l’entrata in guerra dell’Italia dal balcone di Palazzo Venezia. Giorno dopo giorno, il lettore ripercorre il lento e inesorabile scivolamento dell’Europa verso una nuova guerra mondiale, catturato da un racconto che oscilla fra la grande storia e la vita quotidiana di chi presiede o si illude di presiedere ai destini del mondo.

Mussolini coltiva il mito della propria grandezza, mostra ora benevolenza ora arroganza nei confronti dei sudditi, come fanno tutti i potenti, ma non sfugge neppure all’esistenza banale di un uomo diviso tra la famiglia e le amanti che si susseguono nell’alcova del suo palazzo. Fuori si conclude la traiettoria che, in pochi anni, fa dell’Italia un vassallo della Germania nazista. Scurati descrive con stringente efficacia il destino di un Paese che, attraverso le scelte sciagurate del suo leader, si avvia alla catastrofe gettandosi nel vortice di un continente ormai privo di un baricentro.

L’Italia fascista temporeggia sapendo di essere impreparata, cerca di trarre vantaggio dalle conquiste del suo nuovo, potente alleato, ma è inchiodata in un ruolo subalterno. Sono finiti i tempi in cui Hitler era intimidito dal Duce, il quale poteva garantire l’indipendenza dell’Austria o fare prova di sovrano disprezzo nei confronti del razzismo tribale del suo epigono tedesco. Il Furher mette il suo alleato di fronte al fatto compiuto sia nell’estate del 1939, quando decide di stipulare un patto di non aggressione con la Russia sovietica e di invadere la Polonia, scatenando così una nuova guerra mondiale, sia nel maggio 1940, quando lancia un’offensiva militare che in poche settimane mette in ginocchio la Francia.

Gli incontri tra i due dittatori si riducono ormai ai monologhi di Hitler, che concede al Duce, quando gli conviene, il ruolo di mediatore e paladino della pace, come durante la conferenza di Monaco nel settembre 1938.

Mussolini accetta di buon grado di fare il vassallo cercando di mantenere intatta la facciata del capo invincibile. Questo declassamento fa seguito alla conquista dell’Etiopia e alla proclamazione dell’impero, che segnano l’apogeo del regime fascista e della sua popolarità, ma Scurati coglie la frustrazione di un uomo messo di fronte al paradosso del suo potere: per anni ha preteso di fare degli italiani un popolo di guerrieri, di trasformare l’Italia facilona, disordinata, divertente, mandolinesca, in una nazione inquadrata, solida, silenziosa e potente, e ora si vede plebiscitato come artefice della pace, protettore di un’Italia di madri e di spose, di una nazione che guarda a Hitler con diffidenza e non esiterebbe un istante a scegliere tra una tranquilla prosperità e un sacrificio glorioso. Questo popolo, che egli si è sempre vantato di incarnare nel corpo e nello spirito, inizia a fargli schifo. E non può neppure nascondersi che questo paradosso è soprattutto il frutto delle proprie velleità, di una sbruffoneria che prima o poi sarà messa a nudo.

Il Paese che emerge dalle pagine di Scurati è ben poco onorevole: l’Italia fascista “ha deciso da tempo e senza tentennamenti che, tra la belva e la sua vittima, prenderà partito per la belva”. Nel bel mezzo di questa sceneggiata si consuma una delle peggiori ignominie dell’Italia fascista, anch’essa annunciatrice di una tragedia a venire: la promulgazione delle leggi razziali del luglio 1938. Il fascismo aveva i suoi propagandisti antisemiti, da Giovanni Preziosi a Paolo Orano, ma Mussolini li aveva tenuti ai margini, ostentando le sue divergenze con il razzismo biologico nazista e favorendo l’integrazione dell’élite ebraica, sia intellettuale sia economica, in seno al regime.

Scurati descrive la disinvoltura con la quale il Duce rinnega le proprie convinzioni sull’altare dell’alleanza con la Germania nazista e lo zelo di un esercito di pennivendoli, dai giornalisti dei principali quotidiani ai professori delle università del regno, che si sforzano di provare la non appartenenza degli ebrei all’antichissima stirpe italica. Mette in luce la tragedia che significò per gli ebrei, patrioti dai tempi del Risorgimento, la loro esclusione dalla comunità nazionale, soffermandosi particolarmente sull’élite che si era identificata nel fascismo. Una ferita profonda si apre nelle vite di Margherita Sarfatti, ex amante e musa di Mussolini, protettrice dell’arte italiana, e di Renzo Ravenna, podestà di Ferrara. Scurati cita una lettera con la quale quest’ultimo riafferma disperatamente le sue convinzioni fasciste, allo scoppio della guerra, affiancandole la nota scritta da Leone Ginzburg, escluso dall’insegnamento universitario per il suo rifiuto di giurare fedeltà al fascismo e dalla cittadinanza italiana a causa delle leggi razziali, al momento del suo invio al confino. Racconta inoltre, in alcune pagine toccanti, il suicidio di Angelo Fortunato Formiggini, importante editore ebreo che, sopraffatto dallo sconforto, si getta dalla torre della Ghirlandina di Modena.

Il terzo volume di M (“M. Gli ultimi giorni dell’Europa”) mette in scena un gran numero di personaggi storici, alcuni molto noti e altri rimasti nell’ombra ma non meno importanti nello svolgimento quotidiano della vita di Mussolini, dall’amante Claretta Petacci al genero e ministro degli Esteri, Galeazzo Ciano, dal governatore della Libia, Italo Balbo, a Bernardo Attolico, ambasciatore italiano a Berlino, per ricordare soltanto i principali.

Il racconto si compone di una costellazione di vignette, colpi di sonda che rischiarano un paesaggio variegato e complesso. Come i due volumi precedenti, anche questo, scrive Scurati, è “un romanzo aderente in ogni suo dettaglio a fatti storici ampiamente documentati”, un romanzo nel quale “è la storia a farsi romanzo”.

La definizione è pertinente: M inventa un nuovo genere letterario a metà strada tra il romanzo e la storia; un genere letterario capace di rendere la storia palpitante come l’intrigo di un romanzo pur rimanendo ancorato a una attualità comprovata dal rispetto scrupoloso delle fonti. M non solo ricostruisce la storia come racconto ma permette al lettore di riviverla scavando all’interno dei suoi attori. Questa è la sua forza. A differenza di Hitler che, come scrive il suo biografo Ian Kershaw, fu sostanzialmente una non persona, inesistente al di fuori della figura pubblica, Mussolini si presta a diventare una chiave di lettura antropologica del fascismo (la famosa “autobiografia della nazione”).

Ma questo approccio non possiede soltanto dei vantaggi. Quando il proscenio è interamente occupato dai personaggi che ruotano intorno al Duce, la società italiana rimane nell’ombra. Eppure, il capo carismatico non esiste senza la folla dei suoi discepoli che vedono in lui l’uomo della Provvidenza, facendo del fascismo una religione politica alla quale aderiscono non per convinzione ma attraverso un atto di fede. Il carisma è sostanziato da questo rapporto. Nel terzo volume di M, tuttavia, la folla non appare mai se non accidentalmente. La sua presenza era più cospicua nei volumi precedenti, dove anche gli avversari di Mussolini erano parte di un racconto polifonico. Sembra che, una volta consolidato il suo regime, essi siano improvvisamente scomparsi.

Lo storico che raffronta M alle numerose biografie del Duce non può fare a meno di interrogarsi sulle ragioni di alcune scelte dell’autore. Se si tratta di rivivere la storia attraverso la figura di Mussolini, perché iniziare questo racconto nel 1919, al momento della fondazione del movimento fascista, e non risalire alle origini? Perché ignorare Mussolini socialista rivoluzionario? Perché non ricordare quanto la formazione di Benito dovesse a una donna come Angelica Balabanoff, così diversa sia da Margherita Sarfatti che da Claretta Petacci, per non parlare della moglie Rachele, che riempiono le pagine di M? Perché iniziare il terzo volume nel 1938 con la visita di Hitler in Italia, quando la narrazione del secondo si era interrotta nel 1932? Questo vuoto di sei anni è incomprensibile. Perché trascurare la guerra d’Etiopia, ultima conquista coloniale in Africa e primo genocidio fascista del ‘900?

Certo, Scurati aveva già dedicato pagine dense e sferzanti alla violenza italiana in Libia nel secondo volume di M, ma l’avventura etiopica svolse un ruolo importante nella ridefinizione del razzismo fascista. Questa scelta cronologica rischia di avallare la rimozione del colonialismo nella coscienza storica italiana e sorprende in un libro che non solo ha assimilato le acquisizioni della ricerca ma possiede anche un’innegabile dimensione di impegno civile. Per comprendere gli ultimi giorni dell’Europa bisogna conoscere quelli che li hanno preceduti.

Per quanto legittimi, questi e altri interrogativi non tolgono nulla al valore di un’impresa letteraria tra le più affascinanti e ambiziose degli ultimi decenni.

 

                                                                  Enzo Traverso

 

L’articolo è stato pubblicato ne “La Lettura” del 25 settembre 2022, supplemento culturale del “Corriere della Sera”, alle pp. 56-57. Traverso è professore della Cornell University, Ithaca (New York). Ha pubblicato saggi quali, “La guerra civile europea” (il Mulino, 2007); “Il secolo armato” (Feltrinelli, 2012).