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Eco, “Contro la perdita della memoria storica”
Cosa è la memoria storica? E dove può portarci la sua perdita? Davvero è colpa dei media? Ricordare troppo può essere dannoso? La profezia finale del grande studioso.
A due anni dalla scomparsa, ecco l’ultima lezione di Umberto Eco: una “lectio magistralis”, scritta e tenuta in inglese al Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite, a New York, il 21 ottobre 2013, in un incontro organizzato da Danco Singer, amico e collaboratore di Eco, con il Department of Public Information United Nations. Il testo, inedito in italiano, è stato pubblicato nel “Robinson di Repubblica” del 18/2/’18.
Gennaro Cucciniello
Pochi sanno, anche se hanno studiato al liceo o all’università, quanto tempo è trascorso tra Sant’Agostino (IV-V sec, 354-430) e San Tommaso d’Aquino (XIII sec, 1225?-1274), che sono entrambi protagonisti della filosofia medievale. Bene, tra Agostino e Tommaso ci sono otto secoli, che è la stessa distanza temporale che separa Tommaso da noi. Per rendere evidente il concetto del tempo attraverso una rappresentazione spaziale, all’inizio del nostro lavoro (è Encyclomedia, l’ultimo suo progetto editoriale) abbiamo concepito una sorta di linea continua che mostra il periodo di tempo presumibile, se non proprio dal Big Bang a noi, almeno dall’estinzione dei dinosauri alla nascita di Gesù Cristo. Questa linea percorre una lunga porzione di spazio (e tempo), mentre, una volta arrivata all’inizio del primo millennio, il tempo tra Cristo e noi occupa solo una lunghezza microscopica della nostra linea, tanto che si è costretti a zoomarla per avere una rappresentazione visiva di quanto accadde negli ultimi duemila anni. A questo punto ci si può girare verso una data porzione di storia e scoprire, per esempio, che alcuni artisti, pensatori o scienziati sono vissuti nello stesso momento storico, o persino domandare al programma se –per caso- Goethe avrebbe potuto incontrare Napoleone. Il programma può dirci se un evento simile avrebbe potuto essere cronologicamente plausibile e cliccando sui link ipertestuali si può scoprire che quell’incontro accadde realmente. L’intera operazione è stata ispirata dalla convinzione che, specialmente tra le nuove generazioni, da entrambi i lati dell’oceano Atlantico, stiamo assistendo a una perdita della memoria storica.
La necessità della memoria.
I mass media sono principalmente interessati al presente. Accade sempre più spesso che in Italia i giovani (inclusi molti studenti universitari), quando interrogati su fatti che riguardano, diciamo, la seconda guerra mondiale, non sanno come definire personaggi storici come Badoglio, Churchill o Roosevelt, o che pensino (come è realmente accaduto) che Aldo Moro fosse il leader delle Brigate Rosse. Peggio ancora, non sono in grado di raccontare qualcosa di preciso su eventi avvenuti dieci anni prima della loro nascita. Purtroppo, una tale perdita di memoria si sta verificando anche nel mondo degli eruditi.
Se consulto un testo americano pubblicato oggi su un tema specialistico, posso rilevare che la bibliografia non va oltre gli anni Ottanta, cosa che può essere comprensibile per determinate scienze in corso di sviluppo, per esempio quelle che si occupano del bosone di Higgs, ma che è bizzarra se riguarda le scienze umanistiche. Ricordo di aver visto un libro di filosofia che a un certo punto menzionava una determinata idea di Kant e una nota a piè di pagina riportava “Vedere Brown 1982”: i testi di Kant erano considerati troppo vecchi persino per essere inseriti in nota.
In molti documenti fruibili online manca una data di riferimento, mentre sarebbe importante sapere se sono stati elaborati nel 2009, 2010 o 2012: si è persa qualunque profondità temporale.
Una leggenda dice che alla porta d’ingresso di un celebre dipartimento americano di filosofia era apparso un cartello con scritto “Ingresso vietato agli storici di filosofia”. E ricordo una mia conversazione con un amico filosofo il quale mi aveva domandato: “Perché dovremmo conoscere la logica degli Stoici, se la logica formale ha fatto enormi progressi dai loro tempi ai giorni nostri ed è più efficace studiare un manuale contemporaneo piuttosto che una ricostruzione storica?”. Gli risposi che: 1) se per caso gli Stoici si fossero sbagliati è importante conoscere anche la storia degli errori passati per evitarli e che per comprendere Copernico è fondamentale sapere perché Tolomeo avesse torto, dal momento che Copernico non iniziò da zero, ma iniziò criticando le idee di Tolomeo; 2) non ignorare la storia della filosofia antica, o di qualunque altra disciplina, può aiutarci a non inventare l’acqua calda (come diciamo in Italia), e ci sono molti studiosi contemporanei che sprecano la propria intelligenza a riscoprire con sforzi vani idee che erano già state espresse in modo molto chiaro da pensatori antichi; 3) il vecchio detto historia magistra vitae” (la storia è maestra di vita) è più serio di quanto comunemente si pensi, perché, se Hitler avesse letto qualcosa su Napoleone (o almeno Guerra e pace di Tolstoj), avrebbe compreso che è piuttosto difficile per un esercito raggiungere Mosca prima dell’arrivo dell’inverno – e se Bush avesse letto racconti storici documentati sui tentativi inglesi e russi di vincere una guerra in Afghanistan nel 19° secolo, avrebbe sospettato che quel Paese presenta molte caratteristiche orografiche e sociali che rendono molto difficile sottometterne il territorio (…)
Il problema che entra in gioco è che nessuna civiltà (nel senso antropologico della parola, intesa come sistema di idee scientifiche e artistiche, miti, religioni, valori e abitudini quotidiane) può sussistere e sopravvivere senza una memoria collettiva. Le società hanno sempre fatto affidamento sulla memoria per preservare la loro identità, a partire dal vecchio che, seduto sotto un albero, raccontava storie sullo sfruttamento dei suoi antenati e sul mito fondatore della tribù. E quando un qualche atto di censura spazza via una parte della memoria di una società, questa società attraversa una crisi di identità.
Eccesso di memoria.
Permettetemi ora di considerare il lato opposto del nostro tema: ovvero i danni di un eccesso di memoria. Ricordare troppo può finire in tragedia.
Fino ad oggi la società ha filtrato le cose per noi, attraverso i libri di testo e le enciclopedie. Con l’arrivo del Web, tutte le possibili conoscenze e informazioni, persino le più inutili, sono lì a nostra disposizione. Quindi la domanda è: chi sta filtrando? L’estate scorsa stavo lavorando nella mia casa di campagna, senza i trentamila volumi che ho a Milano, e avevo bisogno di alcuni dati sull’Olocausto. Interpellai il Web e trovai un’incredibile quantità di siti. Conoscendo abbastanza bene la storia contemporanea, fui in grado di eliminare i siti che fornivano solo informazioni superficiali e fui lentamente in grado di selezionare, diciamo, i dieci siti che contenevano informazioni vitali. Cosa accade al profano che per la prima volta cerca sul Web delle informazioni elementari sull’Olocausto? L’incapacità di filtrare comporta l’impossibilità di discriminare. Per me, avere diecimila siti sullo stesso argomento equivale a non averne nessuno, perché un individuo (specialmente un giovane) non è in grado di selezionare quelli importanti e affidabili, e anche se fosse in grado non avrebbe tempo di esplorarli tutti. Abbiamo incrementato la nostra capacità di memoria, ma non abbiamo ancora trovato i nuovi parametri di filtraggio.
Quando ci confrontiamo con il Web, non abbiamo a disposizione né una regola per selezionare le informazioni né una regola per dimenticare ciò che è inutile ricordare. Possediamo criteri di selezione solo nella misura in cui siamo preparati intellettualmente ad affrontare il calvario di navigare il Web. Necessitiamo di centri di formazione (la scuola, i libri, le istituzioni scientifiche, alcuni siti web) che ci insegnino come operare la selezione: deve essere inventata una nuova arte della decimazione. Altrimenti sette miliardi di abitanti di questo pianeta produrranno sette miliardi di diverse procedure di selezione ideologica. Il risultato potrebbe benissimo essere una società composta da identità individuali giustapposte (che mi sembra un segno di progresso), senza la mediazione di gruppi (che mi sembra un pericolo). Non so se una società di questo tipo sarebbe in grado di funzionare correttamente. Persino per inventare qualcosa di nuovo avremmo bisogno di un’enciclopedia condivisa da cui iniziare.
Fin dall’antichità classica, il problema del bisogno di dimenticare emerge parallelamente allo sviluppo di tecniche di memorizzazione attraverso le quali affidare alla memoria la quantità massima di informazioni (specialmente nei secoli in cui l’informazione non era facilmente ottenibile e trasportabile come è diventata poi, con l’invenzione della stampa e dei dispositivi elettronici.
L’esempio classico di un dispositivo di memoria consiste nel figurarsi un’immagine spaziale complessa (un palazzo, una piazza, una città) in cui ci siano elementi architettonici o statue, molte rappresentanti fatti strani o paurosi, ai quali si possa associare ogni tipo di data, concetto, principio logico, evento e così via, in modo che immaginandosi di visitare il luogo e ricordando queste immagini, si possa ricordare un sistema completo di nozioni. Ma a volte è stato più difficile ricordare le immagini mnemoniche che le date da recuperare. Nel “De oratore” (II, 74), per esempio, Cicerone cita il caso di Temistocle, che era stato dotato di una memoria straordinaria. Quando qualcuno gli offrì di insegnargli un’ars memorandi, Temistocle rispose che il suo interlocutore gli avrebbe fatto una grande cortesia se gli avesse insegnato come dimenticare ciò che desiderava dimenticare piuttosto che insegnargli come ricordare, dato che avrebbe preferito di essere in grado di dimenticare qualcosa che non voleva ricordare piuttosto che ricordare tutto ciò che aveva sentito o visto.
Il problema dell’eccesso di memoria spiega perché uno dei timori dei praticanti dell’arte mnemonica fosse di ricordare così tanto da confondersi e come risultato dimenticare praticamente tutto. Sembra, infatti, che a un certo punto della sua vita Giulio Camillo (che inventò un teatro della memoria assolutamente infattibile) dovette scusarsi per il suo stato confusionale e per i suoi vuoti di memoria, citando come spiegazione l’applicazione protratta e frenetica delle sue tecniche di mnemonica… D’altra parte, nella sua polemica contro la mnemonica, Cornelio Agrippa (nel De vanitate scientiarum) affermava che la mente è resa ottusa da quegli artifici mostruosi e l’essere così sovraccaricata la porta alla pazzia. Da qui, subdolamente parallela alle fortune dell’ars memoriae, deriva la riapparizione di volta in volta del fantasma dell’ars oblivionalis.
Perciò nel 1592 un certo Filippo Gesualdo scrisse una Plutosofia, un metodo per l’oblio e, nel suo intento di sviluppare un’arte per dimenticare, suggerì le stesse tecniche di un’arte per ricordare. Gesualdo suggeriva di immaginare un teatro della memoria in cui di solito venivano collocate diverse immagini associate a qualcosa da ricordare. E poi “durante il giorno con gli occhi chiusi, o di notte nell’oscurità, dovresti vagare con la mente attraverso tutti i posti immaginati, evocando un’oscurità notturna che nasconde tutti i luoghi e, procedendo in questa maniera, e andando indietro molte volte con la mente e non vedendo alcuna immagine, ogni figura presto scomparirà… Proprio come il pittore imbianca i suoi dipinti per cancellarli, così anche noi possiamo cancellare le immagini dei colori dipinti sopra. E questi colori sono bianchi, verdi o neri; immaginando bianche tende a coprire i luoghi, lenzuola verdi o tessuti neri; e tornando su quei luoghi numerose volte con i veli dei colori. E si può anche immaginare i luoghi riempiti con paglia, fieno, legna da ardere, merce, ecc. (…)
Filtraggio.
Per preservare la propria identità, una civiltà non deve solo comportarsi come un archivio di informazioni, ma anche come un filtro. La storia delle civiltà è una sequenza di abissi nei quali si sono perdute tonnellate di informazioni. I Greci erano già incapaci di recuperare le competenze matematiche degli Egizi; il Medioevo ha perso la scienza greca, tutto Platone (eccetto un dialogo) e metà Aristotele. Alcune di queste perdite furono meramente accidentali (è stato un peccato aver perduto, per esempio, la matematica della Mesopotamia, se c’è mai stata una cosa del genere), alcune furono dovute alla censura, alcune parti della conoscenza perduta furono in qualche modo riscoperte più tardi, ma in generale la funzione di una memoria sociale e culturale è di agire da filtro, non di preservare tutto.
La mia vita non è stata e certamente non sarà abbastanza lunga per darmi l’opportunità di scoprire la struttura del Sistema solare, la tavola di Mendeleev, il teorema di Pitagora, la storia inglese e la grammatica e per decidere se Darwin aveva ragione e Lamarck torto. Ecco perché ho bisogno di istituzioni che filtrino le informazioni importanti al posto mio, così che il nucleo delle mie informazioni sul Sistema solare sia più o meno simile (non uguale per dimensione al vostro). Per raggiungere un tale obiettivo è necessario un certo gregarismo intellettuale. Ecco perché accettiamo il filtro fornito dalla memoria collettiva, dalla storia e dalla tradizione. Filtrare non significa cancellare. E’ un dato di fatto che di frequente le società non ci facciano dimenticare ciò che sappiamo o sapevamo, ma ci impediscono di scoprire ciò che non sappiamo ancora. Perciò accade che una civiltà possa operare diversi tipi di cancellazione che può spaziare dalla censura (la cancellazione di manoscritti, i falò di libri, la damnatio memoriae, la falsificazione di fonti documentarie, il negazionismo) fino alla dimenticanza causata da vergogna, inerzia, rimorso.
Latenza.
Come reagire a perdite di memoria ed eccessi di cancellazione? Come decidere quando è necessario un filtraggio e quando dovremmo recuperare quanto illecitamente eliminato? Se leggiamo la Poetica di Aristotele troviamo la menzione di molte tragedie che non sono sopravvissute fino ai giorni nostri. Non sappiamo perché queste tragedie siano andate perdute, così come i nomi dei loro autori. Una ipotesi “naive” è che Sofocle, Eschilo ed Euripide siano sopravvissuti perché erano i migliori. I migliori secondo quale criterio? Per quali ragioni imperscrutabili sono stati selezionati per entrare nel canone? Forse furono censurate tragedie meravigliose, forse qualche autorità ateniese corrotta ordinò che Sofocle fosse eseguito più frequentemente di qualche sfortunato suo collega?
Non so se queste tragedie perdute possano essere ritrovate da qualche parte, come accadde con le pergamene del mar Morto. Ma so che vi sono individui specializzati (come gli storici e gli archeologi) che sono in grado di riportare alla luce molti dati cancellati. In questi casi la memoria collettiva recupera questi dati e li restaura nella nostra enciclopedia condivisa. A volte, al contrario, una civiltà decide che questi dati possono essere utili per ricerche specifiche ma che sono irrilevanti per la gente comune e li abbandona in qualche riserva indiana, ovvero nelle enciclopedie specialistiche.
In questo modo una civiltà matura decide di relegare alcune informazioni in uno stato di latenza. L’informazione in eccesso, quindi, è o è stata congelata in modo che quando si riveli necessaria gli esperti possono metterla in un microonde e riesumarla, per esempio per decifrare un antico documento di recente scoperta.
Questi luoghi di latenza sono rappresentati dal modello di una biblioteca o di un archivio come gli indispensabili contenitori di una saggezza che può essere ancora rivisitata anche se non era stata riesumata per secoli. A quale enciclopedia appartengono i testi delle tragedie perdute menzionate da Aristotele? Fino a ora un’enciclopedia letteraria specializzata può semplicemente registrare il fatto che di questi testi conosciamo solo i titoli. Cosa succederebbe se questi testi non venissero mai recuperati? Poiché vi sono buone ragioni di credere che un tempo siano realmente esistiti (supponendo che Aristotele non fosse un maledetto bugiardo), continueremmo a pensare che essi abbiano potuto appartenere a una sorta di Enciclopedia Massima. Perciò l’Enciclopedia Massima, se solo il termine ci lascia pensare a qualcosa cujus nihil majus cogitari possit, qualcosa di cui non possiamo immaginare nulla di più grande, come il Dio di Anselmo di Canterbury, è una struttura virtualmente a fisarmonica, che può ogni giorno essere allungata ad infinitum. E questo non è di poco incoraggiamento per il progresso della conoscenza. Schiacciati tra una memoria debole e il suo massimo eccesso nel labirinto di un’enciclopedia solo virtualmente massima, che cosa potremmo suggerire ai nostri figli che non sanno neanche cosa accadde solo pochi decenni fa?
L’unica soluzione per arricchire la nostra memoria è leggere. Leggere non solo arricchisce la nostra memoria, ma ci allunga anche un po’ la vita. Pensate a un giorno o a una settimana in cui avete vissuto molti, molti eventi, tutti emozionanti (gioiosi o stressanti che siano). Ricorderete queste ore o giorni come ricchi di esperienze e avrete l’impressione di aver avuto una vita piena. Al contrario, se avete passato ore o giorni nei quali non è accaduto nulla di rilevante, questi giorni privi di eventi significativi scompariranno dalla vostra memoria. Avrete l’impressione di non aver vissuto affatto durante quel periodo di tempo.
Penso che questa sia una delle ragioni per le quali gli uomini hanno speso molta energia per recuperare le cose del passato. Se, insieme ai nostri ricordi personali, conserviamo anche il ricordo del giorno in cui Giulio Cesare fu assassinato, o della battaglia di Waterloo, e persino del giorno immaginario in cui morirono Romeo e Giulietta, e se ricordiamo, come un ricordo personale, il viaggio su Hispaniola con Jim, il dottor Livesey, il capitano Smollet, Lord Trelawney e Long John Silver – alla fine della nostra esistenza dovremmo avere l’impressione di aver vissuto molto, non solo decenni, ma persino secoli.
Nel mio ultimo istante di vita ricorderò non solo ciò che è accaduto a me, ma anche l’estinzione dei dinosauri, la battaglia di Poitier, l’istante in cui Madame Curie ha scoperto il radio, e il momento magico in cui Dante vide la rosa mistica… tutti questi ricordi saranno parte della mia esistenza. Come lettore ho vissuto una vita così lunga che non posso ricordare tutto in un singolo momento e spero che avrò abbastanza tempo per ricordarla a puntate. In un mondo in cui si è tentati di dimenticare o ignorare troppo la riconquista del nostro passato collettivo dovrebbe essere tra i primi progetti per il nostro futuro.
Umberto Eco