Vi racconto cosa passa per la testa di un’ape
Il neurobiologo Randolf Menzel studia questo insetto da 50 anni e ce ne svela i segreti: impara più o meno come noi, forse sogna. E pratica la democrazia diretta.
Nel “Venerdì di Repubblica” del 14 aprile 2017, alle pp. 70-71, il giornalista Alex Saragosa ha intervistato il neurobiologo Randolf Menzel in occasione dell’uscita del suo saggio “L’intelligenza delle api”.
“Il cervello di un’ape è grande quanto un seme d’erba, non è fatto per il pensiero”, scrisse nel 1962 lo zoologo Karl von Frisch, premio Nobel per aver decifrato il significato della “danza delle api” e aver fondato –con Nikolaas Tinbergen e Konrad Lorenz- l’etologia. Cinquantacinque anni dopo, Lars Chittka, della Queen Mary University di Londra, ha scoperto che i bombi, parenti delle api, “giocano a golf”, ovvero in cambio di un po’ di zucchero imparano a spingere una palla in buca, dopo aver visto un finto bombo fare altrettanto ed essere premiato. Il che, secondo Chittka, “seppellisce l’idea che le api siano mosse solo dall’istinto: hanno invece le capacità cognitive necessarie per imparare a usare strumenti che non impiegano in natura”.
Chi ha ragione tra Von Frisch e Chittka? L’abbiamo chiesto alla massima autorità in materia, Randolf Menzel, neurobiologo dell’Università di Berlino che, con il giornalista Matthias Eckoldt, ha sintetizzato il suo mezzo secolo di ricerca in “L’intelligenza delle api” (raffaello Cortina editore). “L’esperimento di Chittka non mi ha convinto, perché per api e bombi è istintivo spingere oggetti” dice Menzel. “Ma certo il comportamento delle api, e soprattutto delle bottinatrici, quelle che visitano i fiori, non è puro istinto: molto dipende dall’apprendimento”.
Proprio la necessità delle api di apprendere e ricordare ha spinto Menzel a studiarne il cervello. “Noi abbiamo 86 miliardi di neuroni, loro solo un milione: sono quindi un modello ideale per capire come il cervello impara”. Il problema è che il cervello di un’ape è grande un millimetro cubo: per studiarlo Menzel ha perciò dovuto inventare nuovi strumenti e metodi per visualizzare l’attività dei neuroni senza uccidere l’animale, per esempio tubicini di vetro pieni di liquido salino così fini da poter misurare il potenziale elettrico di una singola cellula. “Così abbiamo scoperto che anche per le api, come per noi, l’apprendimento è spinto dagli stimoli piacevoli. Nel nostro cervello a questa funzione sono deputate milioni di cellule, nelle api è invece un solo grande neurone, collegato a migliaia di altri nelle zone sensoriali degli occhi e delle antenne e nell’area della memoria. Quando percepisce che l’ape ha ingerito dello zucchero, questo neurone crea nuovi circuiti cerebrali in modo da fissare il ricordo di quell’oggetto, luogo o comportamento. Per fissare il ricordo anche le api hanno poi bisogno di dormire, se non addirittura di sognare: quando dormono, infatti, ogni tanto si agitano, forse rivivendo le esperienze del giorno”.
Oltre ai circuiti cerebrali Menzel ha studiato delle api anche i comportamenti, scoprendo che hanno una loro personalità. “Ci siamo accorti che diventano bottinatrici solo quelle con maggiore intelligenza e flessibilità di comportamento. Queste riescono a raggiungere le ricompense distinguendo tra figure geometriche simmetriche e asimmetriche, riconoscendo disegni di facce o memorizzando semplici regole, come seguire odori e sequenze di colori, persino quando variano fra mattino e pomeriggio”. Forse la capacità più straordinaria delle bottinatrici è, non a caso, quella di orientarsi. “Il cervello delle api è il più complesso tra quelli degli insetti: i loro corpi fungiformi, l’equivalente della corteccia cerebrale, sono molto estesi. Attraverso esperimenti abbiamo mostrato che le bottinatrici creano nei corpi fungiformi una mappa mentale di un’area di molti km intorno al favo, un po’ come noi facciamo nella nostra città partendo da casa. Questa mappa ha come punto di riferimento la posizione del sole, che l’ape aggiorna di continuo nel suo cervello, finché è sveglia: api anestetizzate per sei ore, cercando di andare verso gli ultimi fiori su cui erano state, sbagliavano direzione di 90°, perché la loro bussola si era sfasata”. E’ grazie a questa mappa mentale che le api possono comunicare alle altre la posizione dei fiori o dei potenziali nuovi nidi con la famosa danza: camminando fra le altre in linea retta e facendo vibrare addome e ali, informano le compagne su posizione, distanza e bontà dell’oggetto segnalato.
La danza ha permesso a Menzel di capire anche come funzioni l’intelligenza collettiva delle api, che fa muovere la colonia come un “superorganismo”. “Le operaie sanno di quale cibo ci sia bisogno in ogni momento: polline o nettare zuccherino oppure acquoso. Quando arrivano le bottinatrici le operaie assaggiano quello che queste offrono e scaricano più velocemente quelle con il cibo “giusto”. Se una bottinatrice viene ignorata, allora va da una delle api con il carico giusto, lo assaggia e segue la sua danza, per andare anche lei alla sorgente del cibo che serve”.
La scelta di un nuovo posto dove stabilirsi è un esempio di intelligenza collettiva e democrazia diretta: se le operaie percepiscono sovraffollamento producono altre regine e fuchi. Quando la nuova regina fecondata arriva nell’alveare, la vecchia se ne va seguita dai fedelissimi. “Le bottinatrici esplorano il terreno e segnalano, danzando, i luoghi possibili. Altre api vanno a verificare e, se il posto piace, tornano e si associano al ballo. Solo quando tutte le api danzano all’unisono, lo sciame parte verso il nuovo nido”.
Insomma le api sono i cervelloni del mondo degli insetti, ed è amaro constatare come sia proprio questo a metterle in difficoltà oggi. “Nel 2002 un produttore di insetticidi neonicotinoidi mi chiese di verificarne l’effetto sulle api: mostrai che anche dosi minime interferivano con la loro memoria, facendogli perdere la strada di casa e portando alla rovina l’intera colonia. Eppure i neonicotinoidi sono diventati i più usati al mondo e milioni di colonie di api sono state distrutte”.
Alex Saragosa