Vita avventurosa e opera geniale di Daniello Bartoli, padre gesuita del ‘600

Vita avventurosa di Daniello Bartoli, padre gesuita del ‘600

L’Ordine di Ignazio di Loyola è la componente più universalistica del cattolicesimo. Perché il pensiero laico non è stato in grado di compiere un analogo processo?

 

Nel quotidiano “la Repubblica” di domenica 20 ottobre 2019, a pag. 37, è pubblicato un interessante articolo del critico letterario Alberto Asor Rosa, che commenta la prima edizione critica di una monumentale opera del gesuita seicentesco Daniello Bartoli, autore –tra l’altro- di una notevolissima “Historia della Compagnia di Gesù”, Roma, 1650. Il pensiero di Bartoli è molto interessante perché di fronte alla produzione culturale dell’umanità egli sostiene che il religioso del suo tempo non può assumere un atteggiamento solo negativo: è necessario, al contrario, assimilarla e impadronirsene, perché la struttura del sapere –come l’uomo l’ha edificato nei secoli anche attraverso errori e deviazioni- fa parte di quella natura che il sentimento religioso illumina e completa, ma non rifiuta. In questo modo la Chiesa cattolica compie una grandiosa operazione di assorbimento della tradizione umanistica: da una parte  si salda la cultura laica e quella creata dagli ecclesiastici, che così escono dal loro isolamento e si fanno intellettuali fra intellettuali; dall’altra gli intellettuali laici vedono cadere molte delle ragioni di diffidenza nei confronti dell’oscurantismo ecclesiastico e possono considerare anche il primato ideologico e  religioso della Chiesa come un momento nella storia del progresso della cultura, tanto più in Italia, dove l’unica struttura culturale rimasta in piedi è quella fornita dalla Chiesa e non si può quindi più immaginare nessuna impresa intellettuale seria che ne prescinda o che la voglia addirittura combattere.

I Gesuiti esprimono cioè per la prima volta all’interno della cultura italiana una proposta moderata, da cui sono indissociabili l’idea dell’unità del ceto intellettuale intorno ad alcuni principi ideologici e religiosi fondamentali, e l’embrionale rilancio dell’idea di un primato italiano, fondato ormai sull’alleanza-simbiosi tra cultura laica e magistero ecclesiastico, fra intellettuali e Chiesa romana.

                                                                  Gennaro Cucciniello

 

Appare presso l’editore Einaudi, nella splendida collana dei Millenni, un’opera intitolata “L’Asia”, in due volumi di complessive milleseicento pagine (circa), del padre gesuita Daniello Bartoli (Ferrara, 1608-1685). Si tratta della prima edizione critica del testo, il che ovviamente ne aumenta il pregio; con la bellissima introduzione di Adriano Prosperi, il massimo conoscitore italiano della materia; e le sapienti cure filologiche di Umberto Grassi e Elisa Frei. Un avvenimento.

Immagino di dover dare in esordio qualche supplemento informativo sull’intera materia. Nella parte finale del XVI secolo, e poi durante tutto il XVII, la Chiesa di Roma, rafforzata dalle conclusioni del Concilio di Trento, elaborò e mise in pratica un programma di evangelizzazione universale: tale, cioè, da valicare senza più limiti e confini lo spazio europeo e spingersi fino alle regioni più lontane del mondo allora conosciuto. Il mondo allora conosciuto? Se si confrontano le date, non può non saltare facilmente all’occhio che espansione religiosa ed espansione politico-militare, ad opera delle due grandi potenze europee cattoliche del tempo, e cioè Spagna e Portogallo, tendono a coincidere.

Di questa imponente predicazione furono protagonisti alcuni dei più importanti Ordini religiosi della Chiesa di Roma: per esempio, i domenicani e i francescani. Ma la vera novità, che improntò di sé l’intero processo, fu rappresentata da un nuovo Ordine, nato non casualmente nell’ambito dei fervori innovativi e propositivi della stessa Controriforma: e cioè la Compagnia di Gesù, fondata all’incirca a metà del XVI secolo dallo spagnolo Ignazio de Loyola, che le impresse fin dall’inizio e pressoché contemporaneamente, -impresa di per sé, oserei dire, quasi miracolosa- uno straordinario spirito ascetico e una straordinaria capacità di mobilitazione e di intervento.

Daniello Bartoli è un padre gesuita che, senza aver preso parte a nessuna missione, ma invitato a farlo dal suo Generale, descrisse in maniera pressoché monumentale l’opera di diffusione della fede cattolica in sterminate regioni del mondo allora appena conosciuto e approcciato. “L’Asia”, in otto libri, fa dunque parte di un corpus ben più gigantesco, che prese il nome, destinato a diventare leggendario, di “Istoria della Compagnia di Gesù: Il Giappone in cinque libri, La Cina in quattro, L’Inghilterra in sei, L’Italia in quattro. La composizione dell’immensa opera durò all’incirca vent’anni, fra il 1653 e il 1673 (e c’è da chiedersi come l’autore riuscisse a studiare, elaborare e stendere una materia così vasta in così poco tempo).

“L’Istoria della Compagnia di Gesù” è stata una delle opere più discusse e contestate della letteratura italiana. Quando io nei primi anni ’70 l’affrontai per farne un capitolo del volume “Il Seicento”, parte a sua volta di una letteratura italiana collettiva, “Storia e testi”, pubblicata dall’editore Laterza, rischiai il mio buon nome e, peggio, la mia carriera accademica: mi ero limitato a notare quel che oggi appare evidente, e cioè che il gesuita Bartoli, pur facendo apologia del suo Ordine, aveva scoperto e messo in luce efficacemente aspetti del mondo che fino a quel momento non si erano manifestati, o se si erano manifestati, non erano stati ancora colti. Pesava il giudizio stroncatorio del grande maestro De Sanctis: “Il Marino della prosa fu Daniello Bartoli, fabbro artificiosissimo e insuperabile di periodi e frasi… è stato in ogni angolo quasi della terra, ha fatto migliaia di descrizioni e narrazioni; non si vede mai che la vista di tante cose nuove gli abbia rinfrescato le impressioni… retore e moralista astratto”.

L’Asia einaudiana rappresenta dunque in un certo senso il punto di arrivo di un lungo processo. Naturalmente, non si tratta oggi di fare apologia di quello che fino a qualche generazione fa era considerato con ostilità insormontabile: ma si tratta di capire, perché ormai è possibile, che il gesuitismo, al di là di certe sue prese di posizione ferocemente antiprogressiste (nel contesto del Risorgimento italiano, ad esempio, il giudizio di Francesco De Sanctis prenderebbe maggior corpo e più si giustificherebbe), ha contribuito, anch’esso, almeno in Italia, alla costruzione di un’identità nazionale dei problemi (identità nazionale che, come si sa, in Italia è sempre controversa, problematica e spesso autolesionistica: basta guardarsi intorno oggi).

Questo si può ottenere allargando l’orizzonte dell’impresa gesuitica nel mondo al di là dei suoi pretesi confini originari, strettamente devozionali e apologetici. Per concludere (ma mai come in questo caso questa espressione di comodo fu inadeguata): si può dire che il gesuitismo rappresenti, nella storia del cattolicesimo moderno, la sua componente più universalistica? Meno costretta dentro vincoli e lacci originari, di natura sia politica sia ideologica? Non avrei dubbi a rispondere di sì. Sarebbe un’impresa sin troppo facile e approssimativa corroborare questa risposta guardandoci intorno oggi e traendo argomenti dalle scelte e dall’opera di chi sotto gli occhi di tutti innegabilmente si muove in questa direzione. Certo, non si potrebbe far risalire tutto il merito di questo universalismo alla modesta (in sé) personalità di Bartoli. Sarebbe difficile tuttavia non riconoscergli il merito di avergli dato, nella sua Istoria, la forma più compiuta che si conosca. Si può ripartire da questo, per rifare tutta la strada all’indietro, fino alle origini del processo.

P.S. Non si potrebbe anche osservare che, al posto di questo processo devozionale e religioso sarebbe stato di gran lunga più auspicabile per l’unificazione del mondo, un processo analogo, ma di natura assolutamente laica e fondato sul cosiddetto libero pensiero? Si potrebbe, certo, ma ci vorrebbe troppo tempo e spazio per dirlo.

                                                        Alberto Asor Rosa